Sentaku Izakaya: Bologna parla giapponese e punta in alto

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Nicolò Ribuffo e Claudio Alessandro Musiani sono le menti dietro il locale che completa il Sentaku Concept. Cibo autentico e miscele di ricerca: «Ma dovrebbero cambiare le cose in Italia per un vero salto di qualità»

Dotta, rossa e grassa, ma in una veste completamente nuova e contemporanea. Bologna si veste di kimono e si muove su ritmi hip-hop, sotto gli stessi Portici che l'avevano messa sulla mappa del bere miscelato: Sentaku Izakaya è il nuovo indirizzo del mangiarbere di qualità in città, lanciato dal promettente sodalizio tra Nicolò Ribuffo e Claudio Alessandro Musiani. Uno spin off a tinte giapponesi, che origina dal già notissimo Sentaku Ramen, insegna di successo incentrata sulla pietanza tradizionale, che Musiani aveva aperto nel 2017: si completa così il Sentaku Concept, l’idea di ospitalità a tutto tondo che abbraccia in realtà anche musica, design ed estetica (Musiani, che riduttivamente può definirsi chef, per non farsi mancare nulla cura anche la direzione creativa della comunicazione, con foto proprie).

Portare il Giappone sotto le torri

Giappone nei piatti e nei bicchieri, una proposta enogastronomica di grande ricerca, che si incastra senza sforzo nelle tendenze di una città giovane e avanguardista per antonomasia, ma non scende a compromessi, rimanendo fedele al principio di portare il Giappone sotto le torri. «Non è solo una scelta di mercato, pur ammettendo che il prodotto Giappone in questo momento va fortissimo. C’è anche parecchio lato umano, io ho lavorato due anni in Giappone per Ritz Carlton, Claudio aveva già aperto il ramen bar: sappiamo cosa vuol dire finire tardi di lavorare e finire in questi izakaya meravigliosi con cibo confortevole e atmosfera autentica. Cerchiamo di portare una nuova cultura in un bacino storicamente molto chiuso: le novità non sono mai piaciute ai bolognesi nel corto periodo, ma alla lunga possono essere vincenti».

Street food potenziato

Musiani firma un impressionante menu di street food potenziato, che ricalca le ricette più tradizionali, le aggiorna ma non le stravolge, da godere tra le sedute basse o il tavolo in condivisione appena illuminati. C’è tutto il classico, riproposto con una scossa di estro: i bao (sia nasu, vegetariano con melanzana e tsukemono, che chashu, con pancia di maiale e cetriolo sottaceto), i sando (a regola d’arte il katsusando con cotoletta di maiale, godurioso e pieno l’egg-sando con insalata di uova), l’intrigante cavolfiore marinato del karifurawā, fino al tripudio del katsukare con salsa al curry. «Abbiamo visto molti bar aprire con idee nuove, ma rimanere concettuali, quasi respingenti. Noi portiamo una novità di approccio, perché mantenere un’identità giapponese vera, e non solo passeggera o modaiola, non è facile: c’è tutto un lavoro di rapporto con i fornitori, servono professionisti formati e appassionati, e una profondità di studio che non appare».

Una drink list complessa, ma non cervellotica

Ribuffo contribuisce con esperienza internazionale e nozioni apprese quasi per osmosi (figlio d’arte di quel Daniele Dalla Pola che nel 2002 lanciò il Nu Lounge, a pochissimi metri, tempio della miscelazione tiki): già messa la firma sul primo rooftop bar di Bologna, in Sentaku porta uno stile diretto, guascone il giusto, di qualità sempre e di apprezzabile visione d’ospitalità: all’ingresso, un sinuoso bancone su misura è dove origina la drink list creata con la consulenza di Valentino Creatura (ex Paradiso Barcelona), eseguita egregiamente dal bartender Alessandro Trovato. Ciascun cocktail riporta almeno un ingrediente giapponese, e l’intero menu segue una linea essenziale, per certi versi complessa ma non cervellotica (coerente con la dicitura tecnica del locale, "i" (sedersi), "saka" (bevanda alcolica) e "ya" negozio): bellamente pericoloso il Nippo’s Champagne, con vodka, kombucha ai lamponi e champagne, il Mezcal&Apple Soda quasi si beve da solo. Più spinto il twist sul Martini, il 50/50, con gin infuso al sedano, alga nori, lemon sakè e olio di sesamo.

Puntare in alto

Un capitolo nuovo per l’ospitalità bolognese, e forse italiana tutta, che necessiterebbe di una spinta in più, secondo Ribuffo, ma non può granché alla luce della realtà strutturale in cui si trova: «Le aziende, cioè i locali, dovrebbero poter pagare di più i propri dipendenti e i clienti avere più disponibilità di spesa “libera”. Se le città italiane avessero i volumi di Parigi o Londra, ci sarebbero molti più bar eccellenti, perché è un circolo virtuoso: quasi tutti i migliori bar del mondo si trovano in città con un potere di spesa maggiore. Noi comunque puntiamo in alto perché crediamo in questo progetto, ma quando ci si confronta con l’estero o comunque con il meglio in circolazione, è inutile far finta di non saperlo: la dimensione economica è diversa».

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