Le microdistillerie, un movimento emergente

Cresce il numero di piccole distillerie che creano prodotti speciali, spesso legati al territorio, molte volte su specifiche richieste di barman e con il marchio dei locali

microdistillerie
Il bollitore dell'impianto di distillazione Peter in Florence

Soffia il vento della distillazione artigianale o microdistillerie. Solo negli Stati Uniti hanno aperto, negli ultimi dieci anni, oltre duemila nuove attività. In Italia i numeri sono più piccoli ma qualcosa ha iniziato a muoversi. E a interessare il mondo della mixology che, in qualche caso, si è lanciata sui distillati e liquori “sartoriali”

Due nuove distillerie nel 1982, poco meno di cento nel 2010. Poi i “fuochi d’artificio” ovvero oltre 2.200 alambicchi accesi nel 2020. La progressione negli Stati Uniti ricorda quella avvenuta dagli Anni Settanta con i birrifici artigianali che oggi, negli States, contano più di 8.000 aziende e un market share del 24%. E, come per la birra artigianale, ciò che si verifica oltreoceano arriva presto anche nel Vecchio Continente con la differenza che, questa volta, è la distillazione il leitmotiv.

Le nuove distillerie in Italia

Così, se in Francia sono ormai cinquanta le distillerie che producono whisky, l’Inghilterra può oggi vantare più alambicchi della vicina Scozia. Nuovi vapori insomma si condensano sotto il cielo. Anche in Italia dove distillerie.it, il sito-progetto fondato dal duo di Whisky Club Italia, Claudio Riva e Davide Terziotti, ha iniziato a monitorare un mercato che non appare più di esclusivo appannaggio delle storiche distillerie di grappa sparse su tutto il territorio nazionale, ma sta salutando la nascita di una nuova generazione di distillatori. Decisamente, va detto, più votati al re degli white spirits, il gin. «Penso che per la fine del 2020 - ha commentato proprio Riva qualche tempo fa - in Italia avremo una quindicina di nuove distillerie, e altrettante ne nasceranno nel 2021». Dichiarazioni pre-Coronavirus, va detto, ma “maledizione pandemica” a parte, indicative di un trend che sta prendendo piede anche dalle nostre parti.

Nel 2017, ma il progetto era partito un paio d’anni prima, è ad esempio nato Peter in Florence, gin toscano realizzato dalla GinLab con il trentatreenne Stefano Cicalese al comando di un alambicco Carter Head da 150 litri. «È il nostro unico prodotto - dice Cicalese -. Distilliamo in un podere a Pelago (Fi) usando le botaniche, tranne quelle tropicali, che coltiviamo sul posto. Nel 2019 abbiamo venduto circa undicimila bottiglie, ma al momento non facciamo gin per singoli locali. Non c’è richiesta e, a parer mio, è un fenomeno ancora poco presente. Tuttavia il successo delle piccole distillerie credo vada cercato nella maggiore attenzione che possono riservare al prodotto e alla sua immagine. Inoltre, come nel nostro caso, possono dare una maggiore connotazione territoriale al gin. Noi viviamo nel miglior areale del ginepro e dell’iris, e siamo dei fanatici della distillazione. Come potremmo non creare un gin espressione del nostro territorio?».

Eugenio Belli è invece un trentenne che ha avviato Eugin Distilleria Indipendente alla fine del 2018 a Meda (Mb). Nel 2019 ha venduto 3.700 bottiglie del suo gin: 1.200 con il suo marchio, il resto conto terzi. Già perché la richiesta di gin senza “sporcarsi le mani” è elevata. Lo conferma anche Giacomo Faramelli, alla guida dell’umbra Anonima Distillazioni da maggio 2018. «Il nostro prodotto di punta è ovviamente il nostro gin, 43°12° Aquamirabilis - spiega - ma da poco produciamo anche parte di quello per The Botanical Club».

Proprio il The Botanical Club, oggi tre locali di successo a Milano, è stato il vero precursore del trend “microdistilleria”. Davide Martelli, l’imprenditore che l’ha lanciato nel 2015 con l’apertura del primo locale nel quartiere Isola, ricorda gli inizi della sua avventura: il dialogo con la burocrazia, la ricerca del produttore di alambicchi ideale. «Il nostro successo - sottolinea - credo sia dovuto alla “true generation” ovvero persone che vogliono vedere da vicino il processo produttivo, la creatività, percepire che chiunque può costruire un’attività di successo partendo dalle proprie passioni». Il Botanical, così come quasi tutte le distillerie di nuova generazione, produce a partire da un alcol demetilato, ma i risultati sono eccellenti. «Quando ho ricevuto i complimenti di due autorità come Desmond Payne e Jared Brown confesso di essermi emozionato», confessa Faramelli. Che, oltre al gin, produce anche liquori, alcuni dei quali su stimolo e collaborazione con Riccardo Rossi, titolare del Freni e Frizioni di Roma.
«L’idea di produrre dei nostri liquori - spiega Rossi - nasce dal fatto di non riuscire ad avere la disponibilità di quei prodotti o di non averli come li vorremmo noi. Sono nati così un liquore alla lavanda, un liquore al caffè come il Café de Olla, speziato con cannella, noce moscata, chiodi di garofano e cacao e, ancora, dei cocktail in bottiglia, dal Negroni al Martinez e all’Hanky Panky. Avere dei prodotti “nostri” non credo sia tanto una questione di business quanto piuttosto una comprensibile gratificazione personale, di immagine e, come ho detto, il desiderio di poter lavorare con prodotti non presenti sul mercato».

Tra i protagonisti di questo fermento imprenditoriale c’è anche chi fa della distillazione “on demand” il proprio core business. Loro sono Attilio Cillario e Gigi Marazzi (www.cillarioemarazzi.it), uno avvocato penalista e l’altro ingegnere impiantista, con un atavico pallino per cocktail e distillati. Hanno iniziato quasi per scherzo ma, oggi con il loro alambicco da cento litri e centinaia di prove sulle spalle, hanno creato oltre una cinquantina di gin diversi per clienti del calibro di Aimo e Nadia, Trussardi Café e Dry a Milano, il resort di Ferragamo a Castiglion del Bosco, il circuito di ristoranti di Roberto Costa sparsi tra Milano e Londra. «Per Costa - racconta Marazzi - produciamo un gin caratterizzato dal basilico che lui stesso ci fa arrivare, ancora in vaso, dalla Liguria; il gin per Trussardi Café nasce invece da un’idea del capobarman Luigi Pastore che ha voluto un tocco caratterizzante di salvia e poi scorza di pompelmo e fava Tonka».

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