La miscelazione contemporanea vista da Anistatia Miller e Jared Brown

Vi chiedono un Martini shakerato invece che stirred? E fateglielo! La miscelazione deve essere diretta e semplice. I consigli di una coppia che in tema di cocktail la sa veramente lunga

Anistatia Miller e Jared Brown, grandi esperti di miscelazione
Vi chiedono un martini shakerato invece che stirred? E fateglielo! La miscelazione deve essere diretta e semplice. I consigli di una coppia di guru

Anistatia Miller e Jared Brown sono due mostri sacri del mondo della mixology anglosassone. Capelli lunghi, abbigliamento casual, gentilissimi e disponibili, li abbiamo conosciuti a L’Avana lo scorso maggio, in occasione della finale dell’Havana Club Cocktail Grand Prix. Erano lì, lei in veste di presidente e lui di membro della giuria che ha valutato i drink di 41 concorrenti provenienti da tutto il mondo. Questa, raccontano, è la loro dodicesima volta  a Cuba. Del rum e dell’arte di miscelarlo conoscono tutti i segreti. Così come sanno tutto della storia della mixology, della produzione dei superalcolici, dell’arte del bartending. Ma, dice Jared, «per me la  parte più importante del bar è la porta». In altre parole, quel che conta è come si viene accolti: il sorriso di chi sta dietro il bancone fa la differenza. Il servizio, l’interazione, sono importanti tanto quanto la perfezione del drink. «Vado in un bar perché quando esco voglio stare meglio di quando sono entrata» rincara la dose Anistatia. Se mai vi capiterà di incontrarli dall’altra parte del vostro bancone o dietro un tavolo di una giuria sappiate che non amano (e questo è un eufemismo) le presentazioni troppo complicate, i cocktail con più di tre ingredienti principali, i drink che non usano ingredienti locali, i bartender più concentrati nel preparare il cocktail che nell’ascoltare chi hanno di fronte. Altro punto fondamentale, bisogna dare al cliente quel che vuole, capirlo e accontentarlo. «Dick Bradsell, il padre del moderno bartending britannico - ricorda Jared - ha detto che il modo corretto di preparare qualsiasi drink è di farlo esattamente come la persona che deve berlo lo vuole». «Vi chiedono un Martini shakerato invece che stirred? E voi fateglielo!», esclama Anistatia. E racconta del suo bar preferito di Torino, dove torna ogni volta perché il barman le prepara sempre lo stesso drink, come piace a lei, «e poi mi lascia in pace».

Qual è il segreto di un buon drink?

Jared Brown: Quando creo una ricetta o sono nella giuria di un concorso, la prima cosa che cerco è l’equilibrio. La seconda, è il punto di sazietà, il momento in cui la bocca ha la sensazione di aver gustato a sufficienza il sapore. È un punto di sazietà che non voglio trovare nel bicchiere: quando ho finito il primo, devo avere la voglia di berne un altro.

Quando siete in giuria, quali sono gli elementi su cui vi basate ?

JB: Una delle prime cose di cui mi accorgo è se un bartender ha creato un drink senza berlo. A volte i concorrenti usano una cannuccia per degustarlo, ma questo equivale a bere un sorso con il naso tappato: il sapore è troppo concentrato. La seconda cosa è l’equilibrio: se c’è troppo agrume, troppo alcol, troppa diluizione o troppo amaro, non c’è quell’equilibrio che fa un buon drink. Terzo, mi accorgo se uno qualsiasi degli ingredienti è di qualità scadente: se non è possibile avere agrumi freschi, non bisognerebbe mai usare il succo in bottiglia. Meglio evitare di preparare un cocktail che richiede succo di agrume se non è possibile usare quello fresco, meglio proporre qualcos’altro.

Gli errori più comuni che i concorrenti fanno durante una cocktail competition?

Anistatia Miller: L’emozione fa dimenticare le cose più basilari, come raffreddare il bicchiere prima di versare il cocktail.

JB: In cucina il cuoco modifica gli ingredienti con il calore. Il bartender li modifica con il freddo. È difficile preparare un drink freddo con la giusta diluizione. Se poi però lo si versa in un bicchiere caldo è come servire del cibo caldo in un piatto freddo. Un altro errore comune è quello di non assaggiare il drink: uno dei pochi concorrenti che l’ha fatto, all’Havana Club Cocktail Grand Prix, si è accorto di aver dimenticato di mettere il rum e ha potuto così salvare la sua gara! Infine, altro errore frequente, quello di fare ricette troppo complicate. La perfezione è nella semplicità.

Perché partecipare a un concorso?

AM: È un buon modo per imparare cose nuove. Oggi il bartending è globale. I giovani bartender viaggiano, lavorano in Paesi diversi, vogliono sapere che cosa succede nel mondo. I concorsi internazionali li aiutano a capire quale potrebbe essere il passo successivo della loro carriera e a conoscere luoghi diversi. Così sanno che cosa aspettarsi quando vanno in un’altra città.

JM: Nel corso degli anni, in concorsi precedenti, abbiamo visto nascere amicizie tra i concorrenti, addirittura alcuni sono diventati soci, hanno iniziato attività insieme, pur venendo da Paesi lontanissimi. Quindi, i concorsi fanno favoriscono il networking e gli scambi culturali. 

Qual è la tendenza più interessante che vedete oggi?

AM: La semplicità si sta affermando.

JB: Il ritorno ai prodotti locali. Oggi possiamo avere lo stesso rum e cola in qualsiasi bar del pianeta. Ma l’esperienza più preziosa, il vero lusso, è gustare qualcosa che è disponibile solo sul posto e solo in un dato periodo. A un barman servono professionalità e abilità per usare i prodotti locali, ma deve innanzitutto avere la capacità di capire il valore dei prodotti locali. Per esempio, per anni ad Amsterdam non c’è mai stato nessun giovane bartender olandese che rendesse omaggio al tradizionale superalcolico del Paese nordeuropeo≠. Oggi, ad Amsterdam hanno aperto alcuni jenever bar e stanno avendo successo.

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