Fammelo scarico: come creare un buon cocktail analcolico

Non c’è un solo modo di ricreare un “finto alcolico”, quanto piuttosto una serie di tecniche che possono trasformare un cocktail scarico di alcol in un drink carico di gusto. Ce le spiegano due che se ne intendono: Daniele Gentili e Lucian Bucur

Ancora echeggia negli incubi dei barman, quella inconfondibile frase pronunciata quasi come un mantra dai clienti ad ogni latitudine. Quel “fammelo carico” al quale segue un sorrisetto complice e uno sguardo d’intesa non corrisposto. Siamo forse entrati nell’era del “fammelo scarico?”. Probabilmente no, perché chi vorrà il booster ci sarà sempre, ma qualcosa sta certamente cambiando.  Cresce la richiesta di cocktail a basso tenore alcolico o dal grado zero. Cresce anche la voglia di farli buoni, di conoscere quali possono essere i metodi e le strategie per trasformare un analcolico in un mocktail bello e buono.

Per indagare questo ambito, chiediamo il supporto ad un romano del trascorso londinese e a un transilvano dal glorioso percorso milanese. Parliamo di Daniele Gentili e Lucian Bucur che ci ci guidano nell’esecuzione di cocktail scarichi di alcol, ma carichi di sapore.

Il potere della bollicina

Daniele Gentili è attualmente brand ambassador e developer di Red Bull Organics, ma le sue avventure con le bolle sono iniziate già qualche anno fa. Il progetto “rethinking the bubbles” nasce nel 2016, come dimostrazione pratica dell’importanza che ha la bollicina - sia essa alcolica sia non - come ingrediente, soprattutto quando si vanno a fare abbinamenti di cibo con cocktails. Molto spesso l’errore che fanno i barman è quello di affiancare ai piatti dei drink troppo alcolici, per il timore che la parte liquida sia sovrastata del gusto saporito di quella solida. Come risultato si ha spesso l’opposto, e la scarsa soddisfazione del cliente, con conseguente sfiducia generale verso il “cocktail and food pairing”.

In un abbinamento il primo “numero” da tenere in mente è il grado alcolico, che raramente dovrebbe superare quello di un bicchiere di vino, che è corrispondente al quantitativo d’alcol a cui la maggior parte delle persone è abituato. Una risorsa fondamentale per tenere a bada il grado, ma amplificare il gusto è l’anidride carbonica: la Co2 amplifica l’acidità, la mineralità e la freschezza in un drink, riduce la dolcezza e l’impatto alcolico. Oltre a questo, funge da vettore aromatico, trasportando quegli aromi in superficie, che sono quelli che senza l’alcol avevamo perso in fondo al bicchiere. L’anidride carbonica trasporta profumi e sapori, amplificando l’apporto olfattivo del drink, che rappresenta l’80% di ciò che va a definire il gusto di un cocktail. L’olfatto è il senso più importante e laddove manca una spalla portante data dall’alcol, per i no&low cocktails la bollicina o il sodato in generale rappresenta un’ancora di salvezza sia in termini di struttura sia di percezione aromatica. Gentili conclude sbloccandoci un ricordo: «Quando otto anni fa lavoravo per Italicus, era strano parlare di un prodotto a soli 20% vol., erano tempi in cui nei bar si bevevano i Vieux Carrè, i whisky lisci e gli Old Fashioned. Guardate oggi cosa si beve, e ditemi se i tempi non sono cambiati in fretta».

Da alcolico ad analcolico (istruzioni semplici)

Ed è proprio sulle note alcoliche e bitter di un Old Fashioned che passiamo la palla a Lucian Bucur, che risponde alla domanda: come trasformare un classico alcolico in un analcolico. «La sfida è slegare la sua anima alcolica cercando di restare il più possibile vicino al profilo aromatico originale. Esistono molteplici tecniche che consentono di separare l’alcol dal resto delle parti che compongono un drink: la distillazione consiste proprio nel separare diverse sostanze in base alla temperatura di ebollizione. Si potrebbe usare quindi sia un alambicco tradizionale sia un evaporatore rotante, ma anche semplicemente ridurre il prodotto alcolico in padella fino ad ottenere un residuo più o meno solido. Supponendo - a ragion veduta - che non proprio tutti abbiano un evaporatore rotante nel retrobanco, un piccolo alambicco in rame con una piastra ad induzione può comunque funzionare: si prepara il drink come fosse un pre-batch, quindi un composto di Bourbon, bitters, zucchero e diluizione. Lo si distilla tenendo conto che ciò che ci interessa sarà la parte analcolica, quella che rimane nell’alambicco. Otterremo un residuo che sarà composto di acqua, zucchero, parti analcoliche residue del Bourbon e del bitter, ed una piccola percentuale d’alcol. A questo punto, ciò che mancherà sarà la spigolosità tipica dell’etanolo, e il suo lieve sentore anestetizzante.

Un modo interessante per richiamare alcune delle sensazioni tattili tipiche dell’etanolo è utilizzare un’infusione di fiore del curaro (acmella oleracea) per completare il composto analcolico. In questo modo sfrutteremo l’effetto anestetico che il fiore ha sul palato per creare un “falso effetto alcolico”. Se il gusto sarà ancora scarico e la densità troppo acquosa, si può intervenire con uno sciroppo a base di Bourbon, che è possibile ottenere con l’evaporazione della parte alcolica del whiskey tramite riduzione. La sensazione di alcol è una sensazione di calore, astringente. Un decotto amaricante può essere utilizzato alla stregua di un bitter, per alimentare quella sensazione. Una tecnica che permette di caricare di gusto un drink scarico di alcol.

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