Drink Kong a Roma, il regno di Patrick Pistolesi

Atmosfere alla blade runner, jungle room per 150 persone e saletta privé in stile giapponese solo per 10 eletti. È il Drink Kong a Roma

Alberto Blasetti / www.albertoblasetti.com

Benvenuti nel regno di Patrick Pistolesi. Perché Drink Kong è questo: il locale che da tanti anni il barman italo-irlandese più famoso di Roma stava coltivando nella sua mente. Atmosfera da Blade Runner, il buio che viene illuminato dalle scritte al neon, chicche come i videogiochi anni Ottanta, la sala jungle più pop che contrasta con la bomboniera riservata dell’hidden bar in stile giapponese, una saletta per pochi intimi in cui si entra solo se c’è Patrick e dove si possono affittare spazi appositi per conservare la propria bottiglia più pregiata.

C’è tutto Patrick Pistolesi in Drink Kong: i banconi che ha calcato insieme a molti dei colleghi che ha formato, i suoi viaggi, senza dimenticare l’educazione sentimentale dell’adolescenza vissuta negli anni Ottanta, fra cartoni animati giapponesi e prime fughe coi cugini fra i pub irlandesi, fino ad arrivare agli ammiccamenti moderni del gioco di specchi in bagno che chiama i selfie da mettere su Instagram. Risultato: un grande locale ipermoderno, dall’atmosfera internazionale, incastonato in uno dei quartieri più eccentrici della Capitale, in una piazza che era il centro della vecchia Suburra, fra il quartiere Monti e l’etnico Esquilino.

Cento posti a sedere, che diventano al massimo centocinquanta persone da servire, contando bancone e posti in piedi, perché una delle cose a cui Pistolesi tiene di più è il servizio: «Abbiamo deciso di servirci di un doorman per regolare i flussi, perché vogliamo che dal primo all’ultimo drink, tutti siano serviti con la stessa qualità».

Un posto dove chi è alla ricerca di buon bere troverà, oltre a Pistolesi, un gruppo di teste di serie della miscelazione capitolina, come Livio Morena, Davide Diaferia, Biagio Gennaro, Riccardo Palleschi e Alessio Zaccardo. I ragazzi in sala sono invece capitanati da Gioia Di Cenzi, che con la qualifica di floor è per Pistolesi “fondamentale per l’accoglienza”.

Cocktail innovativi alla ricerca della perfezione: questo è Drink Kong

Quindici signature in carta, oltre settecento referenze in bottigliera, un focus su gin e whiskey, vera passione di Pistolesi, un laboratorio sottostante all’avanguardia in fatto di cocktail: qui tutto ruota attorno alla ricerca della perfezione, dal cubo di ghiaccio pieno con lo stemma del Drink Kong inciso, alla scelta degli ingredienti, come il succo di datterini gialli selezionato per un Bloody Mary che tanto sanguinoso non pare, a giudicare dal colore.

A proposito di colori, è questo uno dei temi chiave di Drink Kong. Il menu è suddiviso per colori: un invito a seguire il proprio istinto (nelle descrizioni dei drink non compaiono gli ingredienti ma solo l’indicazione del distillato di riferimento). Un po’ come il motto del locale, “drink kong, think kong, be kong”, uno scioglilingua che testimonia l’obiettivo: far sciogliere il cliente. Anche perché fra i giochi proposti al Drink Kong c’è anche il sovvertimento di alcune certezze, come il Negroni che da rosso diventa trasparente. «Poi c’è sempre chi ordina lo Spritz, ma io dico ai ragazzi che non bisogna mai guardare il cliente dall’alto in basso, perché non sappiamo mai chi abbiamo davanti. Sappiamo solo che il nostro compito è farlo rilassare, perché il cocktail bar è un approdo dopo una giornata di lavoro». Quando poi il cliente accetta le regole del gioco e si fida succedono anche miracoli come quello del Lotus, un sour a base gin che inaspettatamente è diventato il best seller del Drink Kong: «Contiene albume pastorizzato, che da molti è visto come pericoloso, ma chi si fida e assaggia questo cocktail finisce per passarci sopra e riordinarlo».

L’accompagnamento food, a cura di Marco Morello, chiude il cerchio: tanti stuzzichini in stile tapas, a cui stanno per aggiungersi le selezioni di prodotti di qualità. La creatività di Morello si esprime in piatti che sono veri e propri viaggi per il mondo, come il bao, il panino al vapore cinese, servito con un pulled pork all’americana e una salsa chipotle messicana. «Cerchiamo una vera fusion, anche perché la stessa cucina italiana è frutto di influenze arrivate da lontano, piatti molto colorati, in contrasto sia con l’atmosfera del locale che di alcuni drink a cui è stato tolto il colore o che comunque sono al massimo monocromatici».

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