Cordiali e cordials, quella lettera che fa la differenza

Cordiali e cordials, chi sono costoro? Cenni storici, differenze e istruzioni per l'uso a cura degli esperti Fulvio Piccinino, Antonio Parlapiano e Matteo Di Ienno

Cordiali e cordials
Cordiali e cordials, chi sono costoro? Cenni storici, differenze e istruzioni per l'uso a cura degli esperti Fulvio Piccinino, Antonio Parlapiano e Matteo Di Ienno

Sempre più spesso, scorrendo i menu dei cocktail bar, ci imbattiamo in ingredienti chiamati “cordial” o “cordiale”. Nella maggior parte dei casi si intende una preparazione della Casa a base di sciroppo e succo di uno stesso frutto, talvolta acidificato con agrumi o acidi alimentari. Per fare un esempio pratico, un cordiale all’ananas potrebbe essere per metà composto da estratto di ananas e per l’altra metà da zucchero infuso con ananas. Tuttavia, se chiedessimo a nostro nonno che cosa intende per cordiale, certamente ci parlerebbe di un liquore. Ponendo la stessa domanda a un anglosassone, lui prontamente lo assocerebbe a uno sciroppo che si trova in molti supermercati, da miscelare con acqua o gin. Insomma (sempre cordialmente parlando) quando si parla di questo ingrediente è facile fare confusione.

Nel tentativo di fare ordine, abbiamo chiesto il parere di alcuni esperti, e come risultato abbiamo un percorso storico ricco di certezze, supposizioni e punti interrogativi.

Fulvio Piccinino, storico della miscelazione made in Italy, associa i cordiali a una declinazione di alcuni liquori tradizionali quali i ratafià e i rosoli. I primi sono a base di macerazioni di frutta (più comunemente la ciliegia) in alcol, alle quali viene aggiunto zucchero e acqua. Erano preparati dai frati a scopo ricostituente ed energizzante, tipicamente in Abruzzo, Valpolicella e Piemonte. I rosoli sono invece liquori spesso a base di spezie esotiche o fiori (la rosa ne è l’esempio principe) che vengono macerati o distillati e addizionati a parti uguali di zucchero e acqua.

I cordiali, bevande alcoliche

Da queste due categorie, anche se con dosi superiori di alcool e zucchero, derivano i cordiali. Il termine deriva dal latino “cor” (cuore), arrivano fino ai 50° vol., e sono spesso a base di brandy o grappa. Come l’etimologia suggerisce, sono bevande alcoliche pensate per rinvigorire, scaldare il cuore e fornire contenuto energetico. Non è un caso che fino ai primi anni del 2000 facessero parte della dotazione di ogni militare: contenuti in bustine di plastica da strappare con i denti, venivano consumati per infondere calore ed energia al corpo durante le guardie notturne. La loro produzione è ancora oggi appannaggio dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare con sede in Firenze, ma altre aziende private nel tempo si sono fatte avanti promuovendo un consumo domestico, come bevanda di benvenuto da servire agli ospiti. L’esempio più celebre è il Cordial Campari a base di lamponi, che ha cessato la produzione nel 2003. In questi casi il tenore alcolico è notevolmente più basso.

Niente alcol nei cordials

Ma come si arriva ai “cordials”, oggi principalmente considerati preparazioni analcoliche? Anistatia Miller, storica di fama mondiale insieme al marito Jared Brown, è laconica: i due termini sono simili nel modo in cui si scrivono, ma non hanno alcun collegamento tra di loro. Grazie ad Antonio Parlapiano, patron del The Jerry Thomas Project di Roma, riusciamo a ricostruire la storia dei “cordials” e a capire che si tratta di prodotti non troppo diversi tra loro. Si parte dallo sherbet, bevanda composta da una parte di succo e una di zucchero, scoperta nell’India del Nord e diffusasi in tutta l’area islamica. Con il colonialismo questa arriva agli inglesi, che la adottano nelle navi della East India Company come metodo di conservazione del succo del lime o limone, al fine di prevenire la malattia dello scorbuto. Il primo brand commerciale a produrre il Lime Cordial porta il nome della famiglia Rose, costruttori di barche di Leith, che intuiscono l’affare grazie a una legge del 1867 che obbligava le navi transoceaniche a fornirsi di uno stock di succo di lime. Sembra che il nome “cordial” derivi dalla maniera dolce in cui questa bevanda alleviava le sofferenze di alcune malattie. Da quel momento la preparazione diverrà popolare con questo nome.

Nel post-colonialismo appaiono con il nome “cordial” degli sciroppi leggermente alcolici, che sono forse l’anello di congiunzione tra i cordials analcolici e i cordiali alcolici. Parlapiano e il team del Jerry Thomas hanno spesso sposato questo ultimo tipo di declinazione, ne è un esempio la ricetta Aviation Cordial. In ogni caso si parla di prodotti diversi, dal nome simile.

Matteo Di Ienno, bar manager de Il Locale a Firenze (cocktail bar dell’anno a Barawards 2018), ci racconta di come è incappato per la prima volta in una ricetta di cordial sul libro Cocktail Lab di Tony Conigliaro. L’approccio dell’autore è più da chimico che da barman e i succhi sono spesso sostituiti da composti a base di acidi alimentari. Matteo comincia a utilizzare questo tipo di preparazione in quanto molto versatile, poiché contiene sia una parte zuccherina sia una acida, che consentono di bilanciare un distillato (si pensi al Gimlet, uno dei più celebri esempi di cocktail con soli due ingredienti). Un accorto uso degli acidi consente la creazione di molti tipi di questi “cordiali 2.0”. Uno di questi è lo Champagne Cordial, preparato con i fondi delle bottiglie di bollicine che rimangono sgasate e che altrimenti andrebbero buttate. A questi vini, che hanno un contenuto zuccherino non sufficiente, viene aggiunto zucchero e un mix di acido lattico e tartarico.

I cordials alla frutta sono preparazioni semplici, ma occorre tenere a mente alcune cose: il contenuto zuccherino dovrebbe essere almeno del 50% per prolungare la shelf-life. Oltre alla conservazione in frigo, un altro modo di allungarne la vita è l’aggiunta di una parte alcolica, anche se minima (uno shot di vodka su un litro). Nei cordiali a base di agrumi è fondamentale l’uso di frutta con buccia edibile e non trattata. È inoltre necessaria un’etichetta con data di produzione e di scadenza. Quest’ultima è variabile e autodeterminata, ma il consiglio è di non andare oltre una settimana di conservazione in frigo se si utilizza il cordiale direttamente sul banco di lavoro, conservarlo in piccoli recipienti e gettare ciò che avanza a fine serata.

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