Cocktail di cultura: vita e passioni di Gianfranco Sciacca, l’alchimista di Bagheria

Dal laboratorio alla mixology. La straordinaria storia di Gianfranco Sciacca, l’ingegnere agroalimentare trasformato in bartender che con due lauree in tasca e una passione per le erbe officinali ha rivoluzionato il mondo cocktail di Bagheria

La storia di Gianfranco Sciacca sembra perfetta per un romanzo di formazione dal quale, possibilmente, si può trarre fuori una serie tv. Siciliano di Bagheria, 37 anni, tra i profumi degli agrumi e il calore del sole mediterraneo, ha trasformato il suo sogno in una realtà straordinaria partendo da qualcosa che non è certo il primo pensiero di chi intraprendente la strada del bartendering: Una laurea in Ingegneria, Agroalimentare per la precisione. Ed ecco nascere l’ibrido, la dicotomia d’inestricabile fattura, metà barman, metà ingegnere. Un piede nella scienza e l'altro nel jigger, ammesso che ci entri. Mentre la maggior parte dei suoi colleghi di laurea si dirigeva verso carriere tradizionali nei laboratori o in aziende alimentari, Gianfranco sentiva che il suo destino lo chiamava altrove.

Circondato dalla cultura ricca e vibrante della Sicilia, la passione per l'arte della mixology ha preso il sopravvento, portandosi dietro tutto l’amore per la cultura che da sempre lo sostiene. Iniziato la sua formazione nel 2005 con AIBES (Associazione Italiana Barman e Sostenitori), dove ha affinato le sue abilità nel campo della miscelazione classica. Da allora, ha partecipato a oltre 80 corsi di formazione, tra cui corsi di sommelier di sake, degustazione di grappe e corsi avanzati di mixology. Nel 2016 ha fondato la Drink Project Academy, un'accademia di mixology che ha la mission di formare bartender di alto profilo. È ambasciatore di Amaro Montenegro e Rebis Gin e ha collezionato alcuni riconoscimenti, come quello di “Ambasciatore del buon bere” dall’International Maîtres Association Hotel Restaurant e premi, come quello di “Barman dell'anno” assegnato dalla testata regionale di settore “All Food Sicily”.

Nel tempo libero che gli resta studia le ultime materie comparative che gli servono per il conseguimento della seconda laurea, questa in geofisica e vulcanologia, iniziata durante la sua esperienza scozzese. La sera, come un novello supereroe, dismette i panni del docente e formatore per indossare quelli del bartender dietro il bancone del Bacio Élite di Bagheria: Ottimo contesto, servizio esclusivo ai tavoli e vasta selezione di distillati di alta qualità. Ma è la miscelazione di Gianfranco a distinguere il Bacio Élite. Con uno sguardo sempre rivolto all'innovazione e alla particolarità della materia prima, crea cocktail sartoriali che trovano unicità nel palato dei suoi ospiti. Utilizzando elementi vegetali insoliti come erbe di campo, fiori, radici, rizomi, cortecce e melasse e grazie all’utilizzo di strumenti all'avanguardia come il micro distillatore da banco, l'agitatore magnetico e il siphoon coffee si creano alchimie al bicchiere di grande impatto e gusto. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare qualcosa di più di uno stile che da accademico diventa pratico e insolitamente panteistico.

Gianfranco Sciacca, si dice che spesso voi barman parliate il "barese", uno slang di chi sta dietro al bancone che non brilla certo per accademismi e figure retoriche. Lei con due lauree non si sente un pesce fuor d'acqua?

“Non voglio dire di sentirmi un pesce fuor d’acqua perché una delle mie caratteristiche più importanti è sicuramente l’umiltà, ma certamente da un bartender professionale mi aspetto che ci sia una base di cultura generale elevata. Quando lavoravo in Scozia il Director-Manager imponeva la lettura del quotidiano prima dell’inizio del turno e questo perché chi lavora dietro il bancone dovrebbe essere sempre in grado di intrattenere il suo ospite qualsiasi sia la tematica che lo stesso voglia trattare. In moltissimi paesi esteri il nostro è visto come un lavoro di grande respiro e, al di là di quello che penso io, leggendo le storie dei cocktail non si può che approfondirne la storia. Ad esempio come su può pensare di fare un cocktail futurista se non si conosce il futurismo? Come si può parlare di speakeasy se non si conosce il proibizionismo? Come si può parlare di cocktail floreali se non si conosce lo stile liberty ed il rococò? Da sempre i grandi barman sono sempre stati portatori di grande cultura ed ahimè questa sembra latitare al momento”.

Abbiamo capito che il suo ingrediente segreto è la cultura. Cos'altro mette nello shaker?

“Sicuramente ingredienti di tipo botanico, legati inevitabilmente con i percorsi di studio che ho intrapreso, sia accademici che professionali. Elementi a volte inusuali, di cui spesso mi approvvigiono durante le mie escursioni in montagna. Vedo la materia vegetale come un’altissima fonte di cultura. Bisogna conoscere ogni elemento chimico da cui è composta, valutarne la commestibilità, gli acidi contenuti nella pianta, la tipologia di resina, la fioritura, la trasformazione e così via. Inevitabilmente l’altro ingrediente segreto è l’amore verso questa meravigliosa arte. Traggo la giusta ispirazione dal singolo momento e cercando di capire e interpretare i desideri dell’ospite che ho di fronte, sto attento a tutto: il modo in cui mi parla, i colori che ha addosso, il profumo che indossa. Il bartender deve essere in grado di cogliere tutte le sfaccettature del proprio ospite per creare una vera e propria opera cucita sul suo palato”.

Lei ha una grande passione per le erbe officinali, usate per la maggior parte in cucina. Scommetterebbe su un possibile trend anche al bar?

“C’è da dire che da qualche anno le piante officinali stanno riscuotendo un buon successo anche al bar, perché danno la possibilità di creare cocktail fuori dagli stereotipi convenzionali ed anche gli ospiti più esigenti apprezzano molto questa miscelazione. Il problema principale rimane però la conoscenza blanda di ciò che si sta utilizzando. Spesso mi ritrovo a chiacchierare con qualche collega che non ha idea dei punti fumo degli elementi botanici che porta in miscelazione. Bisogna fare molta attenzione”.

Ci si avvicina sempre di più alla terra. La cucina del futuro dialogherà sempre di più con i contadini. E il bar del futuro come se lo immagina?

“Il bar del futuro lo immagino con personale altamente qualificato e di grande cultura, proprio perché il lavoro del bartender sta diventando di scelta e non più di ripiego. Prevedo e auspico una clientela sempre più selezionata poiché poter bere un cocktail ricercato sta diventando un bene di lusso. La mia mente mi porta inevitabilmente ai caffè letterali del ‘900 frequentanti da studiosi, poeti e letterati in un futuro che cerca amalgama con il passato. La miscelazione dopo l’incredibile processo di industrializzazione richiederà un’inversione di marcia che ci affiancherà sempre più alla figura degli alchimisti di un tempo ormai andato”. 

Dall’università, all’insegnamento, passando per il bancone dove shakera in pianta stabile. Le è rimasto un sogno nel cassetto?

“Grazie a determinazione e perseveranza, con un pizzico di fortuna, ho raggiunto quasi tutti i miei sogni. Ho sempre sperato di arrivare ad essere un barman di grande livello e trasmettere parallelamente conoscenze sulle mie tecniche di miscelazione e ad oggi anche questo sta accadendo, ancora un sogno però è presente nel famoso cassetto, quello di poter vivere a contatto con la natura e con gli animali che per me sono linfa vitale, potendo esprimere l’arte miscelatoria in un contesto ameno, magari uno chalet di montagna, dove gli avventori possano gustare creazioni incredibili facendo un percorso sensoriale che li porti dalla conoscenza della materia prima, alla raccolta fino alla miscelazione finale, passando attraverso lo studio e percorrendo quelli che sono anche i miti e le leggende che spesso e volentieri si celano dietro tutto ciò che appartiene al fantastico mondo della natura”.

 

 

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