“Amarone raro e caro” una difesa di squadra

Vino Dibattito –

Dieci storiche famiglie della valpolicella si associano per difendere l’identità del vino veronese. Contro ogni forma di globalizzazione o tentativo di svilirne il prezzo

Non bastava la crisi dei consumi e il trade down annunciato dall'Oiv, l'organizzazione mondiale del vitivinicolo. Ad amareggiare produttori, viticoltori, enologi e compagnia bella sopraggiungono le notizie diffuse dall'Italian wine & food Istitute e riecheggiate dalla Rete, che annunciano una pericolosa virata del consumatore verso i vini low cost. Dati alla mano l'export negli Stati Uniti va giù del 10,8% in quantità e del 21,1% in valore nei primi quattro mesi del 2009. E ancora: l'Italia perde il primato di primo Paese esportatore, superata in volume dall'Australia (+ 58,6%). In altre parole, si beve ancora ma a costi più bassi. Il che va a tutto vantaggio dei Paesi produttori di vini a prezzo medio-basso (leggi Cile, Argentina, Nuova Zelanda). E alla vecchia e cara Europa non rimane che leccarsi le ferite, afflitta com'è dal caro euro e dagli elevati costi di produzione.
Gli scenari possibili
Di necessità virtù, un manipolo di produttori veronesi (vedi box sotto) ha deciso di dar vita a un'associazione in difesa dell'esclusività e della qualità dell'Amarone della Valpolicella rifuggendo da logiche di svendita.«Una Ferrari non può essere venduta al prezzo di una Fiat, nemmeno in tempi di crisi!», si difende Sandro Boscaini, deus ex machina della Masi e presidente della neonata associazione Amarone d'arte. «Così l'Amarone è, e deve rimanere, raro e caro, perché frutto della sapiente arte di produttori specializzati e storici, di un rischioso processo di appassimento e un lento affinamento in cantina prima di essere immesso al consumo». Dietro ciò che potrebbe sembrareun suicidio di massa organizzato, c'è piuttosto la preoccupazione riguardo al costante aumento della produzione che vedrà nel mercato 15 milioni di bottiglie nel 2011 quando l'attuale assorbimento è di circa 8 milioni. «Buona parte di questo esubero - continua Boscaini - proviene da aree e da operatori neoconvertiti all'Amarone al semplice scopo di trarre vantaggio dalla sua notorietà. Un danno esteso, che intacca non solo il prodotto, ma anche il territorio di riferimento del quale l'Amarone è simbolo e bandiera». Uno scatto d'orgoglio, dunque, per difendere uno dei vini italiani che ha conquistato il mondo e gode di grande apprezzamento all'estero (che assorbe il 70% del mercato), con dieci aziende in controtendenza in un periodo di crisi d'identità dei rossi storici. Così, se a Montalcino si discute da tempo se “ammorbidire” o meno il disciplinare del Brunello - e la stessa cosa accade per il Nobile di Montepulciano - l'Amarone rilancia sulla qualità e sul carattere originario del prodotto.
Antica tecnica di produzione
Ora si potrebbe prendere la notizia come una semplice nota di costume, se non fosse che da sole le famiglie dell'Amarone d'arte dispongono sul territorio di una superficie vitata complessiva di oltre 2.100 ettari, dei quali circa un quarto destinato alla produzione di Amarone.Di più: le aziende associate rappresentano più del 40% del fatturato del vino veronese, ma se si guarda al solo segmento di fascia alta la percentuale sale oltre il 55%. «Oggi una bottiglia di Amarone “da banco” - incalza Boscaini - si può trovare perfino a 10-12 euro, mentre un vino degno di questo nome non ne potrebbe costare meno di 25, perché la grandezza di questo rosso non consiste nella semplice adozione di una tecnica di vinificazione, ma nella capacità di esprimere un territorio e la sua storia». Non a caso, tra i requisiti richiesti per l'adesione al'associazione - che apporrà un apposito bollino in etichetta - ci sono il carattere familiare dell'azienda, una storia vinicola di almeno 15 anni, una presenza sul mercato con più di 20 mila bottiglie e un brand conosciuto in almeno cinque Paesi. «L'Amarone - spiega Boscaini - è frutto di una tecnica antica, che si tramanda di padre in figlio. Di qui, la decisione di fare perno sul carattere familiare delle aziende. Di più: deve trattarsi di aziende storiche, con almeno 15 anni di tradizione vinicola alle spalle, giacché negli ultimi anni sul carro del vincitore (leggi Amarone, ndr) sono saliti un po' tutti».
Un disciplinare volontario
 In nome dell'originalità e dell'artigianalità del vino veronese l'associazione adotta un disciplinare volontario che rende ancora più selettive le maglie del regolamento: grado alcolico minimo di 15 gradi, estratto secco più elevato, immissione sul mercato dopo almeno 30 mesi dalla raccolta, riduzioni o rinuncia unanime alla produzione nelle annate più sfortunate. Il che porrebbe le dieci famiglie produttrici in antitesi con il Consorzio di Tutela, l'unico ente preposto a garantire l'adesione a un disciplinare di produzione. A fugare ogni dubbio è ancora Boscaini: «Compito del Consorzio è difendere la legalità delle produzioni e tutelare il prodotto nei termini di legge. La nostra associazione intende difendere qualcosa di più. Semmai ciò che mettiamo in discussione è il sistema delle denominazioni d'origine, incapace di distinguere tra l'ottimo e il mediocre». Il riferimento alla legge 164/92 è palese, e la sua revisione ormai auspicabile. Altrimenti, qualsiasi tentativo seppur lodevole rischia di confondere un consumatore sempre più disorientato dalla molteplicità delle offerte e di bollini di qualità.

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