Vendita bar: come calcolare il prezzo giusto

Il solo valore dell'avviamento non basta per valutare correttamente il prezzo del bar. Una guida pratica per tenere in considerazione tutti gli elementi necessari a stabilire un corrispettivo adeguato

Vendita bar
Il solo valore dell'avviamento non basta per valutare correttamente il prezzo del bar. Una guida pratica per tenere in considerazione tutti gli elementi necessari a stabilire un corrispettivo adeguato

Vendere o acquistare un bar è un’operazione delicata. Che ha la sua sintesi massima in un numero: il prezzo di vendita. Come calcolarlo correttamente? I tempi sono cambiati; nel valutare un’azienda di somministrazione, quelli che sono stati per decenni i parametri di calcolo dell’avviamento commerciale non sono più sufficienti.

Prima di cominciare, è opportuno dividere le ipotetiche aziende oggetto di compravendita in tre fasce, determinate dal valore commerciale attribuito alle stesse:
• azienda dal valore commerciale inferiore a 150mila euro;
• azienda dal valore compreso tra i 150mila e i 600mila euro;
• azienda dal valore commerciale superiore ai 600mila euro.

Aziende con valore commerciale fino a 150mila euro

Specie per chi si appresta ad acquistare o vendere un’azienda rientrante nella prima fascia, conoscere la normativa in essere è fondamentale. In molti casi, infatti, aprire “dal nuovo” invece che subentrare a un esercizio già operante può convenire enormemente. Occorre ricordare che la riforma del commercio, introdotta dal D.Lgs. n. 114/1998, ha man mano portato i Comuni d’Italia ad acquisirne i contenuti e a creare le proprie regole attuative sul territorio.
In pratica, ciò significa che, come regola generale - ma poi la situazione va verificata Comune per Comune -,  non è più obbligatorio dover comprare la licenza da un terzo per poter iniziare un’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Questo chiaramente non significa che non possa comunque convenire acquisire da un terzo, ma è importante sapere che non è l’unica strada possibile.

Nella maggior parte dei casi, il regolamento comunale prevede, per il rilascio delle autorizzazioni alla somministrazione, il pagamento di un “indennizzo parcheggi” proporzionato alla metratura del locale che si vorrebbe aprire e della zona in cui si trova.
Il primo passaggio che occorra fare, per un acquirente e per un venditore, è quindi quello di conoscere le regole comunali in essere.

Il motivo è presto detto; se, nella stessa zona in cui si trova il bar oggetto di ipotetica vendita, le licenze sono libere e per una metratura pari a quella del bar stesso, occorre corrispondere al Comune un indennizzo parcheggi pari, per esempio, a 50mila euro è evidente che l’avviamento del suddetto bar non può essere (o meglio, non deve essere) di un valore inferiore.
Allo stesso modo, se il Comune ha in quel momento “contingentato” le proprie licenze (cioè non permette il rilascio di nuove licenze nella zona), è chiaro che il valore commerciale di quella licenza sarà superiore all’ipotetico indennizzo parcheggi e potrà raggiungere cifre decisamente più alte.

Gli elementi da valutare

Quando si acquista un’azienda, con l’atto notarile di cessione in realtà in genere si acquistano, oltre alla licenza, anche l’avviamento, i beni strumentali presenti nel locale, lo stato degli impianti del locale oggetto dell’attività, il contratto di locazione, i debiti di natura tributaria e i rapporti di lavoro subordinato in essere. Analizziamo ogni singola voce nel dettaglio:

Avviamento: una volta analizzato il concetto/costo della licenza, diventa importante capire che attività è stata svolta dal venditore sinora e quale attività svolgerà l’acquirente; più c’è discordanza tra ciò che faceva uno e ciò che vorrebbe fare l’altro, più da parte dell’acquirente, la somma da riconoscere non potrà che essere vicina a quella che riconoscerebbe al Comune per una licenza nuova. Più l’acquirente è privo di idee proprie più è corretto riconoscere un avviamento superiore alla licenza nuova al venditore, soprattutto se il locale è già in grado di produrre una redditività.

Beni strumentali presenti nel locale: alla luce del tipo di attività che l’acquirente vorrà svolgere, occorre capire se i beni strumentali presenti sono sufficienti, idonei e in quale “stato di salute”.
È opportuno che l’acquirente faccia un inventario e poi compari il costo d’acquisto del bene strumentale necessario alla sua attività con il valore commerciale del bene oggetto della compravendita. Facciamo un esempio: se un forno nuovo costa 15mila euro e quello usato, con caratteristiche simili, di tre anni d’età, viene valorizzato una cifra vicina al 50% del prezzo al nuovo, al bene è stato attribuito un corretto valore.

Stato degli impianti: occorre valutare attentamente, anche rispetto alla normativa in essere, in quali condizioni si trova l’impiantistica del locale oggetto dell’attività. Infatti se da una parte è vero che, in caso di cessione di azienda, l’autorizzazione “passa” all’acquirente senza verifiche preventive da parte dell’Asl o degli enti preposti, ciò non significa che gli enti stessi non possano successivamente pretendere l’adeguamento del locale alle norme vigenti. Se si rileva un locale dove non veniva esercitata attività di somministrazione, bisognerà aggiungere i costi relativi all’adeguamento dell’impiantistica alla normativa vigente. A volte, soprattutto per i locali di piccole dimensioni, il semplice fatto che il locale abbia già le autorizzazioni in essere può diventare un motivo di convenienza in più nell’acquistare il locale già esistente piuttosto che aprirne uno nuovo da ristrutturare e mettere a norma.

Contratto di locazione: è sicuramente la parte più importante da prendere in considerazione nella compravendita di un’attività di somministrazione per aziende sotto i 150mila euro di fatturato; un “buon” contratto di locazione può sicuramente essere per il venditore l’arma in più da mettere sul piatto. Il codice civile prevede, salvo espressa diversa pattuizione, che in caso di cessione d’azienda il contratto passi alla parte acquirente, fatte salve le eccezioni di legge. I contratti commerciali di norma sono di sei anni più sei. Una zona commerciale, nell’arco di un biennio, può cambiare i propri valori di mercato; è chiaro che un locale con ancora 9/10 anni di contratto a un canone competitivo è più interessante rispetto a uno con contratto prossimo alla scadenza dei 12 anni.
In sede di trattativa, qualora il contratto di locazione in essere fosse nei secondi sei anni, è consigliabile parlare anche con la proprietà e prevedere, in sede di preliminare, la stipula di un nuovo contratto di locazione a un canone concordato; se ciò dovesse avvenire dopo l’impegno preliminare con il venditore, qualora la proprietà chiedesse per il nuovo canone di locazione dell’immobile una cifra superiore a quella precedente, l’acquirente avrebbe un potere negoziale decisamente ridotto.

Debiti di natura tributaria: il codice civile è chiaro: a prescindere dalle pattuizioni in atto, i debiti di natura tributaria dell’azienda passano in capo all’acquirente. Tale norma, in caso di “cessione di ramo d’azienda”, trova invece diverse possibili eccezioni. Nel caso di aziende sotto i 150mila euro, non essendoci una contabilità ordinaria che permetta all’acquirente di poter verificare i debiti iscritti nello stato patrimoniale passivo, è opportuno chiedere alla parte cedente il certificato delle pendenze tributarie rilasciato dall’Agenzia delle Entrate competente sul territorio ove ha sede l’attività. Viene rilasciato entro 60 giorni, viceversa vale il silenzio assenso. Ciò significa che, se viene fatta la richiesta e l’Ufficio non risponde, in sede di atto definitivo (trascorsi 60 giorni dalla richiesta) si riportano gli estremi della richiesta stessa e la mancata risposta dell’Ufficio. Così, se successivamente dovessero arrivare richieste dell’Ufficio stesso, la parte acquirente è manlevata dall’obbligo.
Si consiglia anche, se l’azienda cedente ha avuto dipendenti nell’ultimo periodo (e in ogni caso se è una società), di allegare all’atto definitivo anche il Documento unico di regolarità contributiva (Durc). Non c’è altro modo per tutelare il passaggio del debito per aziende piccole; tutte le pattuizioni scritte, pubbliche o private, sono palliativi.

Rapporti di lavoro dipendente in essere: è espressamente previsto che, in caso di cessione d’azienda (ma ci sono eccezioni per la “cessione di ramo d’azienda”), il personale dipendente in essere all’atto della cessione venga acquisito dalla parte acquirente. L’analisi deve essere attenta, perché il fatto che la parte venditrice dichiari che all’atto della vendita non avrà più personale dipendente in carica non toglie ai dipendenti stessi la facoltà di far valere i propri diritti nei confronti dell’acquirente, ad esempio con richiesta di reintegro. L’unica possibilità, nel caso in cui l’acquirente non intenda mantenere il rapporto di lavoro con il dipendente in essere, è che venditore e dipendente raggiungano un accordo di chiusura del rapporto di lavoro presso la Direzione Provinciale del Lavoro o un sindacato.

Aziende con valore commerciale da 150mila a 600mila euro

Per valutare l’acquisto di un’azienda che fattura fino a 600mila euro occorre partire da un business plan. Se si acquista un locale che fa un’attività simile, ha una storicità di fatturato dimostrata e un contratto di locazione sostenibile (non superiore all’8% del fatturato) ci sono le basi per valutare l’acquisizione. Viceversa, va valutato quanto andrà investito in comunicazione per raggiungere il break even.

Per questa fascia di aziende, il presupposto è che l’imprenditore lavori all’interno del locale.

Il dato più veritiero può essere quello calcolato dall’Ufficio del registro in sede di accertamento: prende in considerazione il fatturato medio possibilmente di un triennio. Meglio evitare di considerare anni superiori al quarto, specie se hanno un fatturato superiore; viceversa, gli anni oltre il terzo sono molto importanti se dimostrano costanza di crescita o stabilità di fatturato. L’altro valore da prendere in considerazione è l’utile lordo. Di solito le aziende di queste dimensioni sono gestite da società di persone o ditte individuali; quindi si parla di utile da tassare ai fini Irpef e di norma i soci lavoratori non compaiono come costo nel conto economico. Se si tratta di srl, bisogna sommare all’utile lordo gli eventuali compensi lordi percepiti dai soci lavoratori in corso d’anno. Il consiglio è di prendere in considerazione solo gli ultimi tre esercizi; anche in questo caso occorre fare la media e moltiplicarla per tre. Il valore dell’azienda è un numero compreso
tra la somma dei tre utili e il fatturato medio. La presenza di beni strumentali molto efficienti e nuovi, un ottimo contratto di locazione o accordi commerciali molto favorevoli possono far pendere il valore dell’azienda verso il più alto dei due valori.

Chiaramente, tutto ciò che risultasse incassato o speso extracontabilmente, non può essere oggetto di valorizzazione perché opinabile, salvo che ci sia un controllo gestionale in grado di dimostrarne la veridicità.

Aziende con valore commerciale oltre 600mila euro

Se l’azienda appartenente a questa terza fascia è un’azienda in cui l’imprenditore vi lavora all’interno, i criteri di quantificazione - rispetto alla fascia tra i 150mila e i 600mila - non cambiano di molto, se non per i volumi degli importi che, essendo decisamente superiori trovano una chiave di lettura più spostata sulla redditività che sul volume d’affari.

Se tali aziende sono gestite sotto forma di srl, all’atto della cessione potrebbero permettere scenari fiscali migliorativi, in base alla fiscalità del momento (cessioni quote, rivalutazioni aziendali ecc.).

Diventa importante capire, in corso d’opera e di crescita dell’azienda, quali possono essere le caratteristiche della stessa che possono interessare il futuro acquirente (Il fatturato? La redditività? L’innovazione nell’offerta? La possibilità di standardizzazione dell’offerta?).

Se l’azienda porta con sé procedure, standardizzazioni, metodologie che potrebbero permettere alla stessa di avere un significativo sviluppo di tipo industriale/imprenditoriale, in luogo dell’utile prodotto annualmente può essere più corretto utilizzare come riferimento l’Ebitda, indice che misura la differenza tra i ricavi e i costi, escludendo però gli oneri finanziari e gli ammortamenti.

Un’attività che ha più punti vendita ed è stata capace di creare una storicità agli stessi sia da un punto di vista di bilanci (rendicontazione annuale riclassificata dei conti economici, ecc.) che di procedure (organigrammi operativi, manuali operativi, ecc.) va considerata alla stregua di un’industria. Pertanto il valore sarà dato da un moltiplicatore dell’Ebitda tra il 6 e il 10. Tutto ciò va sicuramente preceduto da una “due diligence” e da un’eventuale “perizia di stima”, utilizzando criteri di valutazione rivolti alle potenzialità future del business più che ai dati correnti. Anche in questo caso, tutto ciò che l’imprenditore è riuscito a prevedere e programmare torna utile in sede di compravendita.

I consigli scacciaguai

Per il venditore: fate contratti di locazione lungimiranti, mantenete i beni strumentali in buono stato, facendo la giusta manutenzione e conservando libretti e assistenze sugli stessi; fate contratti di lavoro non esageratamente vincolanti. Farsi un “piano industriale” permette di valutare con prontezza quando potrebbe essere necessario vendere. Dare una forte identità al proprio locale è una scelta lungimirante: oggi il bar “anonimo” difficilmente si vende a cifre che permettano al venditore di rientrare del capitale investito.

Per l’acquirente: chiedetevi cosa state cercando e perché volete comprare; non fatevi abbagliare dal “cuore” e dal “sentimento”; i locali si acquistano dopo aver fatto un attento business plan. Viceversa, se la vostra idea è vincente, non correte rischi in una compravendita e partite da zero.

* Gianni Vitale è titolare dello studio Vitale Commercialisti di Rivoli (To); è un consulente specializzato nel controllo di gestione per i pubblici esercizi e nella creazione e gestione di catene di ristorazione

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