Con il Collegato lavoro diventa facoltativo il tentativo di conciliazione nella controversie individuali e si riducono i tempi per il contenzioso: al massimo 270 giorni
Entrato in vigore lo scorso novembre, il Collegato lavoro mira a ridurre, tra l’altro, i termini per la soluzione delle controversie tra dipendenti e datori di lavoro. Chiunque abbia impugnato licenziamenti, contratti a termine, collaborazioni, trasferimenti, nullità del termine del contratto a tempo determinato ecc. ha ora nove mesi di tempo per depositare il ricorso presso il Tribunale, all’arbitro ovvero presentare istanza di conciliazione. E la novità sta proprio qui: il tentativo di conciliazione - prima obbligatorio - diventa una fase eventuale, ad eccezione del solo contratto certificato, ovvero quella procedura volontaria mediante la quale le parti possono chiedere alle cosiddette Commissioni di certificazione un accertamento sulla natura e le caratteristiche del contratto da loro adottato.
La procedura arbitrale
L’istanza di conciliazione va presentata invece alle apposite commissioni istituite presso la direzione provinciale del Lavoro (Dpl). Se la controparte accetta la procedura di conciliazione, deposita entro 20 giorni dalla richiesta una memoria con le proprie difese ed eccezioni. Nel caso non si arrivi a un’intesa, tocca alla commissione formulare una proposta di conciliazione, che si potrà rifiutare accompagnando la decisione con adeguate motivazioni di cui il giudice terrà conto in sede di giudizio.
Il ricorso al giudice
Se il tentativo di conciliazione non va a buon fine, il lavoratore può depositare il ricorso entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. Se invece la via conciliativa non viene neppure tentata, il ricorso al giudice deve essere presentato - come per il tentativo di conciliazione - entro 270 giorni dall’impugnativa del licenziamento. Una scadenza di gran lunga ridotta rispetto ai 5 anni previsti dall’articolo 144 del codice civile in tema di prescrizione ordinaria. Senza contare i termini ancora più lunghi previsti - secondo l’orientamento prevalente della magistratura - in caso di licenziamenti nulli e inefficaci, come quello della lavoratrice entro un anno dalla celebrazione del matrimonio o dalla nascita di un figlio.
Durante il tentativo di conciliazione, le parti possono anche affidare alla commissione conciliativa l’incarico di risolvere la lite in via arbitrale: mostrano le proprie posizioni e indicano un termine per l’emissione del lodo (non superiore ai 60 giorni). Si tratta di un arbitrato cosiddetto irrituale, perché vale come un vero e proprio contratto tra le parti e non è impugnabile anche nel caso deroghi a disposizioni di legge o a contratti collettivi.
Il Collegato lavoro introduce anche altre forme di arbitrato: quello previsto dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali, quello presso le camere arbitrali costituite dagli organi di certificazione e quello che si svolge innanzi a un collegio di conciliazione e arbitrato irrituale, costituito, su iniziativa delle parti, per risolvere una specifica controversia.