L’invito più classico tra amici o conoscenti è quello di andare a “prendere un caffè”. Se chi è pratico della zona risponderà “è indifferente” alla richiesta del locale da scegliere, significa che il nostro esercizio - a pochi passi dal gruppo di amici - non ha una specifica identità né una particolare attrattiva. Un elemento su cui riflettere. Viviamo in un periodo in cui il “solito” non attrae e una nota diversa o particolare nell’offerta si fa notare e invita al consumo. «Il problema che incontro visitando molti locali è che tutti fanno la stessa cosa - afferma Luca Ramoni, presidente di Aicaf -. Perché i clienti vengono nel tuo locale? Cosa apprezzano maggiormente? Molti gestori non sanno rispondere a queste domande: vendono di tutto senza sapere cosa davvero rende e cosa no. Il primo obiettivo deve essere differenziarsi, caratterizzare il locale». Già da lontano è importante farsi vedere e contraddistinguersi con un nome e un logo e una o più specificità, puntando su ciò che dà attrattiva al locale: caffè o panini, piatti caldi, pasticceria, offerta bio o vegan, anche attraverso uno o più brand famosi. È poi importante che il locale “dialoghi” con l’esterno mostrando spazi interni luminosi, accoglienti e puliti (quest’ultimo è un aspetto che il cliente italiano valuta con molta attenzione).
Promessa merceologica
All’ingresso deve essere mantenuta la “promessa” merceologica o di qualità fatta all’esterno, con una gestione attenta degli spazi e dei materiali di comunicazione. I punti focali, ovvero quelli di maggiore passaggio e sosta della clientela, aiutano infatti a vendere. «Se in questi punti strategici - spiega Ramoni - metto un prodotto che vende 100 pezzi e la risposta positiva è del 10%, avrò venduto dieci pezzi in più; se al contrario ne metto uno che mediamente ne vende 10, ecco che la risposta sarà decisamente minore in termini di cassetto. Il barista deve inoltre sapere quali sono i margini su ciò che vende (chi sa quanto rende un cappuccino?) e puntare sui prodotti che generano un livello di marginalità superiore». A ogni ora è importante essere pronti a suggerire un abbinamento a ciò che il cliente si accinge a consumare. Se arriva al banco e non sa cosa ordinare, il gestore deve prendere in mano la situazione e mettere in atto una strategia, cominciando dalle domande di rito: desidera un espresso, un dolce, un succo, un calice di vino... Domande che permettono di mettere a fuoco i gusti dell’interlocutore, per poi proporre gli item che offrono un margine interessante. L’operatore bar deve essere come un consulente che ha sempre una soluzione, un suggerimento: alla richiesta di un tè, piuttosto che dare un contenitore con delle bustine, meglio chiedere se lo si desidera con latte o limone e, quindi, suggerire di abbinare un biscottino, una frolla o una fetta di torta. Se un prodotto è terminato bisogna offrire un’alternativa in modo rapido e convincente. In breve, chi lavora al banco deve imparare a diventare il motore delle vendite e non più un mero operatore che offre un servizio.
Tempo d’azione e incassi
È infine importante anche sapere ascoltare il mercato: se oggi va molto la soia, questa non deve mancare nell’offerta, comunicandolo alla clientela. Riprende Ramoni: «Occorre ricordare che l’up-selling cambia il modo di fare cassetto e deve rientrare in una strategia ben definita in termini di incasso e di tempo. Ad esempio, entro fine mese devo impegnarmi a fatturare X, impostando le azioni che mi permetteranno di raggiungere l’obiettivo. Concluso tale periodo potrò vedere se la mia iniziativa ha avuto successo e correggere eventuali errori, togliendo dall’offerta i prodotti che non si vendono e inserendone di nuovi. Poi dovrò rinnovare gli obiettivi e i punti su cui far leva per raggiungerli». La regola base per vendere meglio e di più sta nella qualità della proposta: molti diranno no, ma ci sarà chi non si saprà sottrarre e la accetterà. L’importante è che rimanga soddisfatto, trasformando un acquisto d’impulso in una domanda costante.