Dal primo luglio entrano in vigore due importanti novità in tema di pagamenti. Novità che interessano direttamente anche il mondo dei locali: il nuovo limite all’uso del contante, fissato a 2.000 euro, e il cosiddetto “bonus Pos”, ovvero il credito d’imposta sui pagamenti elettronici. Misure emanate dal governo per contrastare l’evasione fiscale e, al tempo stesso, e sempre in ottica di contrasto all’evasione, incentivare l’uso di strumenti di pagamento tracciabili, come appunto quelli elettronici, rendendone la gestione meno costosa.
Per quanto riguarda l’utilizzo del contante, dall’inizio del mese di luglio la soglia scende da 3.000 a 2000 euro, come stabilito dal collegato fiscale alla Legge di Bilancio 2020, il decreto legge 124/2019. Ciò significa che tutti gli scambi di denaro in contante sono permessi fino alla cifra massima di 1.999,99 euro. Oltre tale soglia occorre utilizzare forme di pagamento tracciabili, come bonifici o pagamenti elettronici.
Il limite dei 2.000 euro vale anche se l’importo viene frazionato, cioè se il pagamento in contanti viene diviso in diverse tranches. Si tratta comunque di una soglia temporanea, destinata ad abbassarsi ulteriormente: dal primo gennaio 2022, infatti, il limite sarà portato a 999,99 euro, lo stesso fissato nel 2011 dal governo Monti e rimasto invariato fino al 2015.
Pesanti le sanzioni che scattano in caso di superamento del tetto, variando a seconda della somma del pagamento e della gravità dell’infrazione commessa. Sanzioni amministrative che vanno da un minimo di 2.000 a un massimo di 50.000 euro per i contraenti che violano le disposizioni sul limite dei contanti fino alla soglia limite di 250.000 euro, e da un minimo di 15.000 fino a un massimo di 250.000 euro se si va oltre i 250.000 euro. Con una sanzione che va da 3.000 a 15.000 euro anche i professionisti che non segnalano la violazione, trasgredendo quindi alla normativa antiriciclaggio.
Pos meno caro
Insieme ai nuovi limiti ai pagamenti cash, dal primo luglio entra in vigore la misura che incentiva l’utilizzo dei pagamenti elettronici, il bonus Pos. Contenuto anche questo nel decreto legge 124/2019, nello specifico all’art. 22, consiste in un credito d’imposta per le commissioni addebitate per l’utilizzo della moneta elettronica del quale possono fruire esercenti e professionisti.
Il credito, pari al 30% di quanto viene addebitato per le spese bancarie, va in pratica a coprire parte dei costi sostenuti da professionisti e imprese sulle transazioni effettuate mediante l’accettazione di carte di credito, debito e altri pagamenti elettronici tracciabili.
Più in dettaglio, la misura si applica alle imprese e professionisti che nell’anno precedente hanno realizzato ricavi o compensi fino a 400.000 euro. Il credito è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, e a partire dal mese successivo a quello nel quale la spesa è stata sostenuta. Dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi del periodo di maturazione e nelle dichiarazioni successive per gli importi residui non ancora utilizzati in compensazione, ma non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap.
Come ottenerlo
La procedura per ottenere il credito è stata definita in modo preciso dai provvedimenti attuativi messi a punto dall’Agenzia delle entrate (qui) e dalla Banca d’Italia (qui). La procedura prevede per gli operatori finanziari, ovvero il fornitore del Pos, l’obbligo di trasmettere telematicamente all’Agenzia delle entrate, entro il ventesimo giorno del mese successivo al periodo di riferimento, le informazioni necessarie a controllare la spettanza del credito d’imposta.
Sempre il fornitore del Pos deve trasmettere all’esercente entro il 20 del mese successivo una serie di informazioni, tra le quali l’elenco delle transazioni effettuate e le informazioni relative alle commissioni corrisposte.
A loro volta, gli esercenti del Bonus Pos devono conservare tutti i documenti relativi alle commissioni addebitate dalla banca per le transazione eseguite con strumenti di pagamento elettronici per 10 anni (a partire dall'anno in cui il credito d'imposta è stato utilizzato) e metterli a disposizione dell’amministrazione finanziaria se lo chiedesse per eventuali controlli.