La cedolare secca salverà i bar dal caro affitti?

La cedolare secca, puntando agli oltre 770 mila locali sfitti, promette canoni più bassi. Ma si prevede che la flax tax da sola non basterà a stimolare la crescita di nuove attività

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La cedolare secca, puntando agli oltre 770 mila locali sfitti, promette canoni più bassi. Ma si prevede che la flax tax da sola non basterà a stimolare la crescita di nuove attività

Tra le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2019 c’è ne una auspicata da tempo sia dalle organizzazioni sindacali dei pubblici esercizi e del commercio in genere, sia da quelle dei proprietari immobiliari, Confedilizia in testa. Si tratta dell’introduzione della cedolare secca al 21% anche per i locali commerciali con superficie fino ai 600 mq e accatastati come C1, escluse le pertinenze. La scelta tra la cedolare secca e il regime Irpef ordinario è, tuttavia, prevista solo per  i nuovi contratti che saranno stipulati nel 2019. Questa, in estrema sintesi, le coordinate di una novità che, sulla carta, dovrebbe ripercuotersi positivamente su tutto il sistema. Da una parte, i gestori andrebbero a pagare canoni di locazione più accessibili (potendo così investire maggiormente nella loro attività economica) dall’altra, i proprietari di immobili potrebbero trovare vantaggioso ridimensionare i canoni a fronte di usufruire di agevolazioni sul piano fiscale. Ad esempio, a Milano, si calcola che su un canone medio di circa 16mila euro il risparmio sarebbe di 2.800 euro l’anno se il reddito da locazione si aggiunge a un imponibile di altri 30mila euro. Di conseguenza, si potrebbe registrare da parte del mercato un interessamento anche nei confronti di locali ubicati in zone commerciali di primaria importanza o in periferia.

La tassa piatta riguarda, potenzialmente, i circa 370mila nuovi contratti che ogni anno – secondo i dati dell’Osservatorio immobiliare dell’Agenzia delle Entrate – vengono stipulati in Italia. Ma lo scopo del provvedimento è soprattutto quello di tirare fuori dalle secche una quota di negozi cronicamente sfitti, che in totale, secondo diverse fonti,  sarebbero oltre 770mila. A tale proposito Confcommercio ha più volte sottolineato il rischio di una desertificazione di centri storici provocato proprio da canoni esosi o fuori mercato con tutto quello che ne consegue a livello di degrado urbano, sicurezza ecc. Non è escluso, infine, che come è successo per il settore abitativo, la misura contribuisca a fare emergere il cosiddetto “nero”: secondo Confedilizia, a partire dall’introduzione della cedolare secca sugli affitti abitativi nel 2011, l’evasione tributaria (tax gap) è diminuita del 42% e la propensione all’inadempimento (elusione ed evasione in sostanza) si è ridotta del 40%. Tuttto bene, dunque? In apparenza sì. Per certi versi, infatt, l’introduzione della cedolare secca potrebbe dare un impulso alla ripresa del commercio e al processo di riqualificazione delle città, portando nell’arco di due anni, secondo stime di Confesercenti, alla nascita di circa 190mila nuovi negozi e pubblici esercizi. Senza contare che, almeno sulla carta la misura, contribuirebbe anche ad aumentare il gettito fiscale (un effetto che però trova diverrsi osservatori indisaccordo). L’apertura di nuove attività innescata dall’arrivo della cedolare, infatti, porterebbe nelle casse del Fisco circa 1,5 miliardi di euro in più, tra Irpef, Tari e Irap pagati dalle imprese.

Una previsione, quest’ultima, giudicata più che ottimistica. «Non bisogna farsi grandi illusioni anche se la misura è certamente positiva - sottolinea Gino Pagliuca, giornalista esperto di mercato immobiliare di L’Economia del Corriere, supplemento economico del Corriere della Sera –. A conti fatti, si prevede che avrà un impatto modesto sul territorio. Difatti, comporta più vantaggi per il locatore, che per il gestore - conduttore: quest’ultimo può sperare in un affitto più basso rispetto a quelli di mercato in quanto il proprietario, grazie al risparmio fiscale generato dalla flat tax al 21%, potrebbe abbassare le proprie richieste economiche. Ma il vero vantaggio per il negozio o per il bar è un altro e cioè che il proprietario aderendo a questo regime rinuncia alla facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se previsto dal contratto, inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo. In pratica, per 12 anni il gestore può stare tranquillo. Inoltre, non si può escludere che la misura resti in vigore solo per il 2019: molto dipenderà da quanto l’erario “incasserà” dall’effettiva apertura di nuove attività: è evidente che la possibilità per i proprietari di pagare il 21% al posto dell’Irpef avrà ripercussioni certo non positive sul gettito fiscale». È, dunque, certamente ancora presto per valutare eventuali ricadute, ma le stime di diversi osservatori restano in ogni caso prudenti. «La misura della cedolare secca si inserisce in uno scenario in cui le quotazioni degli affitti commerciali - annota Isabella Tulipano responsabile comunicazione e marketing di Solo Affitti, franchising immobiliare leader nel comparto dell’affitto - sono in calo da anni. Solo di recente c’è stato qualche timido segnale di ripresa. In particolare, a Roma (+14,6%), Milano (+11,4%), Bologna (+13,7%) e nel Triveneto. Probabilmente più che a nuove aperture si assisterà a un riposizionamento di negozi o pubblici esercizi in aree meno “care” con una rinegoziazione delle locazioni in regime di cedolare secca. L’effetto, ovviamente, sarebbe stato maggiore se il governo avesse accompagnato la flat tax a misure per stimolare la domanda immobiliare come, ad esempio, sgravi fiscali alle imprese che investono in una nuova attività economica».

Una misura monca e contingente

Che, in fondo, a guadagnarci siano alla fine solo i proprietari immobiliari lo conferma anche Giancarlo Banchieri, presidente Fiepet - Confesercenti. «Si tratta di una misura monca perché non ha introdotto i contratti a canone concordato anche per le locazioni commerciali come avevamo richiesto in sede di consultazione: contratti che sono sottoposti a un’aliquota ridotta del 10%. Ciò avrebbe rappresentato un vero volano di sviluppo per le nuove imprese e avrebbe contribuito a rispristinare un piano di parità con i colossi del web che stanno continuamente erodendo quote di mercato, soprattutto alle piccole realtà di vicinato. Tuttavia, come Confesercenti continueremo a portare avanti le nostre istanze insieme anche a Confcommercio e Confedilizia, organizzazioni con le quali abbiamo già condiviso un percorso importante. Oggi forse è l’inizio di un nuovo tragitto, ma l’impressione è che una cedolare secca con così tanti paletti sia una misura pensata più per il presente che per il futuro». Il rischio è, infatti,  che alla fine di quest’anno, complici le attuali previsioni negative sull’economia e la spada di Damocle dell’aumento dell’Iva (nel caso lo Stato non riesca a reperire le risorse pianificate nella manovra finanziaria, l’aumento sarà persino peggiore di quello previsto dalle precedenti clausole di salvaguardia) si ritorni, come nel gioco del Monopoli, alla casella del via.

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