Gli italiani salgono in cattedra

Summit –

Non ci sono bar italiani in diverse hit parade, ma i nostri barman all’estero dettano legge. Di questo, di cocktail italiani d’epoca, di polibibite futuriste e di prodotti che ritornano, abbiamo parlato nel laboratorio Cocktail all’italiana. Con quattro esperti

Nella classifica dei primi cinquanta bar del mondo, compilata ogni autunno della rivista britannica Drinks International, non troviamo un locale italiano. Permettete? Chi se ne importa. Evidentemente le hit parade sono fatte da chi conosce superficialmente la nostra realtà. Dei nostri locali all’estero, eccetto forse il Nottingham Forest di Milano, se ne sa ben poco. Eppure, come ha messo in evidenza Giuseppe Gallo, global brand ambassador di Martini, durante il seminario “Cocktail all’italiana”, i nostri barman sono da anni teste di serie. Francesco Lafranconi, a fine anni '90 si è trasferito negli Stati Uniti, costruendo il suo successo, dollaro su dollaro, fino a diventare il più celebre formatore di barman d’America. Max La Rocca e Giuseppe Santamaria fanno avanguardia a Barcellona. Cristina Bini è tra le mixologist più quotate di New York. Il trio composto da Salvatore Calabrese, Peter Dorelli, Giuliano Morandin, ha costruito la storia del bere miscelato a Londra, la capitale mondiale del cocktail. Li hanno seguiti, in anni più recenti, Agostino Perrone e altri astri nascenti come Stefano Cossio e Luca Cinalli. C’è da scommetterci: presto nel Risiko della miscelazione avremmo più carri armati e territori di chiunque. Intendo sia in termini di gusti, penso al boom del Negroni e dello Spritz che è di recente entrato, con il nome di Spritz Veneziano, nella nuova lista dei cocktail mondiali Iba, sia nello stile, nella tecnica, nel servizio.

Protagonisti dell’export

«Questi professionisti - fa emergere Luca Cordiglieri del China Tang at The Dorchester Hotel di Londra - hanno contribuito a divulgare una parte della cultura italiana: quella dei prodotti nazionali, dagli aperitivi ai digestivi. È merito dei barman italiani se oggi sono conosciute, e riconosciute, specialità come Carpano, Gancia, Martini, Campari, Aperol, Fernet Branca, DiSaronno, Frangelico e le grappe». Luca Cordiglieri, proclamato di recente miglior bar manager del Regno Unito dalla rivista specializzata Class Magazine, sostiene che la nostra forza sta nella radici e nella grande tradizione liquoristica. Il passato che ritorna, specie quello italiano, è il pane quotidiano di un altro relatore intervenuto al nostro laboratorio.
Trattasi di Fulvio Piccinino: «In questi anni, anche grazie alle ristampe di antichi ricettari come il manuale del professor Jerry Thomas o il Savoy Cocktail book di Harry Craddock (1930), abbiamo assistito al grande ritorno dei cocktail d’epoca. Classici del periodo del Proibizionismo (paradossalmente uno dei periodi più fertili per lo sviluppo del bere miscelato), cocktail esotici di quelli che andavano di moda tra i marinai americani di ritorno dalle Hawaii e altre ricette ancestrali. Nello specifico ho condotto una ricerca sulle miscele storiche italiane che ho riversato nel libro (e nel sito) Saper Bere». Piccinino porta in giro anche una curiosa serata chiamata Aperitivo Italian Vintage, dove mette in mostra le specialità della nostra tradizione. Propone, per esempio, le polibibite dei Futuristi dei primi del Novecento. Miscelati come il Giostra d’Alcol (con Barbera d’Asti, cedrata e Campari) o l’Inventina (con Moscato d’Asti, liquore all’ananas, succo d’arancia gelato), ma anche altri grandi classici della miscelazione tricolore come il Tandem, il Tintoretto o il Torino-Milano. Miscele create da barman come Angelo Zola, illuminato presidente dell’Aibes degli esordi. «Come presidente del Classic Cocktail Club - conclude il Gustosofo Michele Di Carlo - non può che farmi piacere. Da anni cerchiamo di disseppellire i tesori dimenticati e farli conoscere agli appassionati. Il problema semmai è nella visione miope di certe aziende che modificano i loro liquori per farli diventare più “piacioni”. La questione è che, alla distanza, questi prodotti rivelano limiti prevedibili, specie nella miscelazione. Non si può togliere la struttura, il corpo a un vermouth o a un amaro, sperando che non succeda niente. Galliano è uno di quelli che è ritornato su suoi passi. Oggi si fa chiamare l’Autentico e ripropone la ricetta che aveva al battesimo originario».
Succederà con altri?

Lascia un commento

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome