Spirit low e no alcol in grande crescita. Ma in Italia…

Prevista una grande crescita per le bevande no/low alcol. Dopo la cavalcata delle birre nello scorso decennio, adesso tocca agli spirit. Un trend mondiale che in Italia fatica ad affermarsi

spirit low e no alcol
Floreale e Vibrante, i due "vermouth a zero alcol" lanciati da Martini, non ancora arrivati sul mercato italiano

Prova a indovinare: qual è la categoria di bevande di cui si prevede una crescita superiore al 30% nei prossimi tre anni. Vabbè, se hai letto il titolo con attenzione sei sulla buona strada...

Secondo l'istituto di ricerca londinese Iwsr (in "21 trend per il 2021" trovi anche le loro previsioni sull'intero settore degli spirit), le bevande no e low alcol - che comprendono birra, vino, ready-to-drink e spirit - cresceranno in volume del 31% entro il 2024, trainate dall'incremento dei consumi di Stati Uniti, Germania e Spagna.
La previsione è frutto di uno studio che ha coinvolto i dieci top market in tutto il mondo (l'Italia non c'è, e più avanti scopriremo perché), che raccolgono oltre il 75% dei consumi mondiali. E non si tratta di un rimbalzo dopo un anno terribile: al contrario, il 2020 si è chiuso con una crescita dei volumi dell'1% a livello mondiale.

«Assistiamo, a livello mondiale, a un trend che spinge nella direzione della moderazione nel consumo di alcol - spiega Mark Meek, ceo di Iwsr -, che porta con sé una crescita della domanda verso bevande a basso tenore alcolico o con zero alcol. I produttori hanno un importante ruolo da giocare: sviluppando l'ampiezza dell'offerta potranno sostenere la crescita della categoria e ampliarne l'appeal».

Secondo GlobaData, nei mercati dell'Europa Occidentale il settore dei cosiddetti NoLo spirit tra il 2020 e il 2024 dovrebbe crescere a un tasso medio annuo del 2,6%.

«I consumatori - afferma Holly Inglis, beverage analyst di GlobalData - sono ancor più determinati che nel recente passato a mantenere uno stile di consumo moderato e salutista, con l'obiettivo di un maggior equilibrio, sia fisico che emotivo».

Un segmento dominato dalle birre...

Il segmento delle bevande no/low alcol è dominato da birre e sidro, che insieme - secondo Iwsr - hanno una quota di mercato del 92%. Gli investimenti dei grandi gruppi birrari hanno spinto la categoria, che nello scorso decennio ha registrato tassi di crescita imponenti. In futuro, prevedono gli analisti di Iwsr, saranno soprattutto i piccoli produttori artigianali a dedicarsi con più attenzione a questi prodotti.

Sotto la spinta degli investimenti dei grandi produttori, secondo GlobalData, tra il 2015 e il 2020 nei mercato dell'Europa Occidentale le birre e il cidro con un grado alcolico inferiore allo 0,5% sono cresciute rispettivamente dell'8,4% e del 9,3%.

A crescere più velocemente delle birre, secondo Iwsr, nel prossimi anni saranno in primo luogo le categorie dei vini no/low alcol e dei ready-to-drink (che, insieme, pesano poco più del 7% del mercato): nel periodo 2020-2024 si prevede una crescita media annua rispettivamente del 7 e dell'8% nei 10 maggiori mercati mondiali.

...ma le prospettive migliori sono per gli spirit

Ma a condurre le danze, nei prossimi anni, saranno soprattutto gli spirit no/low alcol (i cosiddetti NoLo spirit): «Allo stato attuale - spiegano a Iwsr - la loro quota di mercato è minima, pari allo 0,6%. Ma nel biennio 2019-2020 le vendite hanno registrato una crescita del 32,7%. E per il quinquennio 2020-2024 si prevede un tasso di crescita medio annuo del 14%, il più elevato della categoria«.

«Gli spirit low alcol sono una categoria con volumi inferiori a quella degli spirit no alcol - afferma Sophia Shaw-Brown, senior insight manager di Iwsr - ma ci aspettiamo per entrambe una crescita importante, grazie anche al lancio di nuove versioni low alcol di brand consolidati o alla maggiore familiarità dei consumatori verso le versioni zero alcol dei prodotti». Ne sono esempi recenti il lancio da parte di Pernod Ricard delle versioni light del gin Beefeater e del whisky Ballantine's (20% alc.) e del vermouth alcol free Floreale di Martini&Rossi.

Il motivo principale per cui i consumatori si stanno spostando verso le versioni light è per "evitare gli effetti legati al bere alcol", come conseguenza di una più generale tendenza a salute e benessere nei consumi alimentari: «Il 58% di chi sceglie gli spirit no/low alcol - spiegano gli analisti di Iwsr - lo fa preferendoli alle versioni classiche nella stessa occasione di consumo. Solo il 14% dichiara di non bere alcol». E la scelta non è tanto una questione di prezzo, ma di gusto.

Secondo il GlobalData's consumer survey 2019, il 54% degli europei è attratto dai drink analcolici o a basso tenore alcolico. «I consumatori - spiega ancora Inglis - sono disponibili alla sperimentazione, soprattutto verso i prodotti premium innovativi. Ci aspettiamo che entro il 2024 i consumi di NoLo spirit in Europa toccheranno i 120mila litri».

L'Italia? Avanti piano

Per l'Italia, le prospettive appaiono più dilatate nel tempo: «In Italia - spiega l'analista Chris Young di Iwrs - il segmento delle birre no/low alcol è ancora modesto in termini di volumi, ma è destinato a crescere in misura importante, anche se nei prossimi 2-3 anni non ne vedremo grandi balzi in avanti. La questione è che la birra è già considerata dai consumatori come una categoria low alcol rispetto a vino e spirit. E gli italiani più attenti al tema della salute che bevono birra non sono interessati alla versione analcolica o light. Ci vorrà ancora qualche anno per convincere i potenziali clienti che passare alla versione zero alcol non implica una rinuncia in termini di gusto».

«Nel periodo 2015-2019 - spiega ancora Inglis di GlobalData - il segmento delle birre no e low alcol in Italia è cresciuto a un tasso medio annuo dell'11,7%, passando da 75mila a oltre 116mila ettolitri. Nel 2020 il calo è stato a due cifre, ma ci aspettiamo una ripresa della crescita».

«La crescita dell'attenzione ai temi del benessere e della salute da parte dei consumatori italiani - continua Inglis - produrrà un interesse crescente anche verso i NoLo spirit. Per i produttori, si apre la possibilità di innovare con prodotti premium con un posizionamento  cosiddetto ‘health-halo’ (i prodotti "con aria salutista", ndr) per conquistare nuovi segmenti di clientela».

 

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