Perché il barman robot non può essere la soluzione

Cocktail Robot, 1933
Cocktail Robot, 1933

Toni si è fatto un nome come primo barman robot italiano. Toni lavora dal 26 luglio 2019 al The View, terrazza con vista Duomo del Townhouse Hotel. Di Toni si dice che è super efficiente, non sporca, non prende ferie, né malattia, non parla, non disturba e, udite-udite, i suoi padroni dichiarano che con lui i clienti si sentono più sicuri e sereni di fronte al rischio contagio. Stiamo calmi. Respiriamo e inspiriamo profondamente. Toni, in fondo, non ha colpe ed è un tipo in gamba. Toni nasce da un prototipo creato nel 2013 da Makr Shakr, progetto di primo bar robotico creato al Mit di Boston dal team di Carlo Ratti, direttore del Mit Senseable City Lab. Roba da scienziati insomma. Toni si fa pagare 15 euro a drink, in bicchiere monouso e senza decorazione. Evidentemente - tra elettricità, manutenzione e bagnetto per le candide braccia meccaniche armate di shaker – il prezzo è giusto. Toni dice che è in grado di preparare un “googol” (pari a 100 volte la potenza di 10) di combinazioni di drink. Toni, lo avrete intuito, è un po’ sbruffone.

Il sistema del barman robot è composto da due braccia idrauliche e meccaniche, di cui una miscela gli ingredienti servendosi delle 158 bottiglie presenti nel bottigliere, mentre l’altra serve il bicchiere al cliente. Intervistati pochi giorni fa da La Repubblica, quattro baldanzosi appartenenti alla Generazione Y, dichiarano: “Il cocktail era molto buono. Dosato bene Ha passato il test. È sicuro al 100% e non è portatore di virus”. Bartender, amici, stiamo calmi. Respiriamo ancora. Ce ne sarà bisogno soprattutto dopo la domanda che segue. L’intervistatore a un certo punto chiede ai gestori: “Non ci sarà il rischio che un giorno, le macchine sostituiranno la manodopera umana? Risposta: "Con il barman robot viene a mancare la figura dell'uomo dietro al bancone del bar, ma aggiunge posti lavoro per tecnici che si occupino di manutenzione, pulizia e rifornimento del barista robotico". In un crescendo di dichiarazioni di rara sensibilità verso la categoria, l’intervistatore chiede al barman in carne e ossa del locale: “Non c’è il rischio che voi barman andiate tutti a casa?” Ed è qui che arriva l’unica risposta sensata: “No perché una persona è sempre meglio di una macchina”. È il barman che lo dice.

A questo punto chiediamoci. Perché si va al bar? Per bere? Quello si può fare comodamente a casa. Se non si vuole fare fatica, vendono pure le cocktail machine o i cocktail già pronti in bottiglia. Allora si va per bere bene? Anche. Ma questi non sono valori. Sono semplici bevute. Il bar è un tempio dove si celebra quotidianamente il rito dell’ospitalità. Il bar è il luogo dell’accoglienza e degli incontri. Il bar è il posto degli animali sociali. Il bar è il luogo dove da solitari uomini delle caverne ci siamo trasformati in uomini delle taverne. Il bar è il luogo dove le emozioni si amplificano. Il bar è il barman. Quello che ti accoglie, ti coccola, sta a sentire le tue storie piccole anche quando non ha nessuna voglia. “Il barman è teatro, il barman è l’attore, gli ospiti sono gli spettatori”. Lo dice Salvatore Calabrese, il barman italiano più famoso nel mondo. Per questo spettacolo pago il biglietto. Per il Long Island Iced Tea di Toni “anche no”.

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