Perché è importante difendere l’asporto e i bar

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Cocktail d'asporto al Backdoor 43 photo Lonely Planet

Con il nuovo Dpcm che sarà varato la prossima settimana si prospetta l’ennesima mazzata per i bar. Il Governo ha da poco incontrato le Regioni in vista delle nuove misure e conferma di voler introdurre nel Dpcm il divieto per i bar di vendere cibi e bevande da asporto dopo le 18. In pratica a un settore già vessato, che è sceso in piazza più volte per manifestare il proprio diritto alla sopravvivenza (perché di questo si tratta), si toglie l’unica e ultima fonte di guadagno in un bilancio già fallimentare. Le stime di TradeLab parlano di un 2020 chiuso a -37%, che significa aver visto sfumare ben 35 miliardi di fatturato.

Perché migliaia di bar in tutta Italia si erano già attrezzati, avevano fatto acquisti, studiato una strategia per rilanciare la propria attività, investito in comunicazione, in azioni di vendita e strategie marketing. Abbiamo visto cocktail bar trasformarsi in quattro e quattro otto in caffetterie. Locali serali che hanno cercato di prendere accordi con le maggiori piattaforme di consegna. Altri bar che hanno deciso di investire, oltre che sul cocktail in lattina della casa, anche sulla bicicletta per portarlo al cliente. Ripeto. Si trattava di sopravvivere, reinventandosi. E migliaia di locali in tutta Italia si sono rimboccati le maniche. Ma quando il Titanic affonda puoi essere resiliente quanto vuoi, ma se non trovi un posto sulla scialuppa di salvataggio, muori assiderato. In questo stillicidio, for bars and restaurants only, riteniamo utile sottolineare che solo nel mese di novembre l’asporto è arrivato a pesare il 38% del totale consumi. Segno evidente che da parte degli operatori sono state messe in campo tutte le forze per trovare strade alternative e costruire nuovi modelli di business. Nonostante l’impegno, questo non è bastato. E il problema qual è? Chiede l’uomo comune: Perché dopo aver di fatto chiuso i bar, specialmente quelli serali, ora si accaniscono imponendo il divieto asporto dopo le 18? Qual è la giustificazione? Perché i negozi, i parrucchieri, gli estetisti, i fiorai, i centri commerciali sono aperti e i bar non devono tirare su la serranda? La risposta la trovate, più che nelle misure atte a contenere il contagio, nei titoloni sparacchiati e stropicciati da agenzie, giornali, telegiornali. Quelli che parlano della famigerata “movida”, senza avere alcuna idea sia di cosa stata la movida sia del fatto che non abbia alcuna connotazione con il mondo dell’ospitalità. Quelli che parlano dei locali come della “movida” non si stanno rendendo conto che stanno creando un danno enorme per l'intero settore.

Sì perché a questo punto sembra utile sottolineare agli sparatitoli (“stretta anti-movida”, “linea dura contro la movida” ecc.) che il nostro settore ha un nome ben diverso e quel nome è Ospitalità. Pensateci. E scoprirete che bar, ristoranti, hotel, non sono altro che nuove etichette con le quali abbiamo ribattezzato luoghi non tipici, ma atavici di ristoro. Il ristorante è il corrispettivo dell’antica taverna, il bar quello della stazione di posta, l’hotel della locanda. Sono luoghi che esistono da quando esiste la nostra civiltà. Il bar non è solo quel posto dove si va a bere, mangiare e divertirsi, ma uno spazio di ristoro (a proposito di "ristori") e di conforto.

A inizio dicembre alla trattoria di Soprazzocco di Gavardo (Bs) un pranzo clandestino in trattoria è costato 280 euro a ciascuno dei 26 operai presenti. Come in un ristorante stellato. L’oste aveva aperto per offrire un riparo agli operai che lavorano in un cantiere collocato in una zona impervia. I lavoratori stavano gelando. La figlia di uno degli operai più anziani ha scritto a Conte: “Ora io capisco ogni misura restrittiva per via del Covid-19, capisco l'esigenza di non creare assembramento ma ciò che non capisco è come si possa ridurre un uomo che svolge il suo lavoro onestamente da 51 anni a mangiare al freddo, sotto la neve“. Anche questo dunque è il bar, il ristorante, la trattoria: un rifugio. Un rifugio per tante categorie di lavoratori: dai muratori agli operai, dai rappresentanti ai camionisti, agli impiegati senza o con colazione al sacco.

Chi nei propri articoli riferendosi ai bar parla di loro come “movida” non vede e non vuole vedere. Ricade in un errore grossolano confondendo la scazzottata avvenuta a Pincio o a Trastevere; i balli di gruppo nella piazza a Lucca; le feste clandestine, con un settore che nella stragrande maggioranza dei casi ha dato dimostrazione per mesi di utilizzare tutte le precauzioni di legge per evitare la diffusione del contagio. L’alternativa sapete qual è? Lasciare che tutti i ragazzi vadano là fuori con la birretta, senza mascherina e poi succeda quel che succeda.

Fateci caso. Di tutte le attività produttive sono state chiuse quelle culturali: scuole superiori, università, biblioteche, musei, teatri, cinema. È stata di fatto fermata la musica (i live solo in streaming ormai), la recitazione, ogni genere di performance. E poi? Poi i bar e ristoranti. Non sappiamo quando arriverà la primavera dei bar. Di certo non vediamo l’ora che i bar tornino ad occupare gioiosamente le vie e le piazze come hanno fatto per secoli. Come nei nei café chantant di Manet, Degas, Renoir e Toulouse-Lautrec.

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