Parliamo di acidità del caffè con Francesca Bieker

Fette di agrumi
Una caratteristica gustativa dei caffè arabica è la presenza di una nota acida, da presentare con gradualità al cliente al banco bar

Il profilo aromatico del caffè dipende soprattutto da specie e varietà, origine ambientale e grado di tostatura. I primi caffè tostati in Italia furono gli arabica; nel secondo dopoguerra giunsero i robusta. Una caratteristica gustativa degli arabica è la presenza di una nota acida, più o meno marcata in base alle variabili già elencate e di difficile gestione all’interno di una bevanda concentrata qual è l’espresso.

«Per questo si è preferito lavorare sulle miscele, che permettevano di compensare e fare emergere aromaticità più mirate al dolce e all’amaro - afferma Francesca Bieker, formatrice Sca e consulente -. Ci sono comunque parti d’Italia, soprattutto al Nord, in cui l’acidità è da sempre più presente e considerata parte di una tazza di qualità. L’arrivo degli specialty ha portato nel nostro Paese caffè tostati più chiari dai quali sovente l’estrazione espresso traeva spiccate note acide e una sensazione sbilanciata e amplificata dalla concentrazione della bevanda. È ovvio che chi è abituato a miscele con una buona presenza di robusta e note cioccolatose non abbia gradito.

L’errore di molti è stato di importare questo stile che all’estero è abbinato ad estrazioni a filtro, nelle quali il caffè rilascia più lentamente i suoi aromi e in cui predominano note dolci e acide. Un approccio più ponderato e con i giusti correttivi per l’espresso (una tostatura un poco più scura) sarebbe stata cosa saggia. Anche perché oggi molti lo fanno, mentre a livello mondiale i consumatori degli specialty ricercano caffè più dolci. Lo scorso anno, inoltre, ai campionati Sca alcuni concorrenti hanno gareggiato con miscele (fino a qualche anno sarebbe stato impensabile), sottolineando la ricerca di gusti più rotondi. Un’ultima nota: amarezza non è sinonimo di cattiva qualità, come l’acidità non lo è di qualità». Un suggerimento per avvicinare il cliente italiano a questo gusto spesso sconosciuto è di procedere per gradi, presentando magari uno stesso caffè con diverse tostature, partendo dalla più scura. L’acidità viene spesso associata a un gusto aspro, di limone, mentre ci sono diverse acidità, alcune delle quali molto amabili. Di nuovo questo va spiegato e introdotto in modo semplice e accessibile: il piacere della scoperta è il modo migliore per aprire le porte al desiderio di conoscere il caffè. Osserviamo brevemente quali acidi, tra i numerosi presenti nel chicco tostato, emergono con maggiore frequenza. Quello malico, ha il sapore della mela verde; citrico, tipico degli agrumi; acetico, ricorda note di vino e frutta rossa; lattico, conferisce rotondità. Gli acidi clorogenici hanno potere antiossidante, ma possono conferire note astringenti e sono più presenti nella robusta che nell’arabica, in cui la quantità ridotta ha un effetto positivo in tazza.

Il pH è la scala di misura da 0 a 14, che esprime il carattere acido o basico di una soluzione. Se il pH è 7 è neutra (condizione tipica dell’acqua); un pH inferiore a 7 indica una soluzione acida (maggiore nei valori più bassi), mentre superiore a 7 sono i prodotti alcalini. Il pH del caffè è circa 5, ovvero acido, più dei fagioli (6), ma meno del pomodoro (4), del vino (3-3,5) e dell’aceto (3), del limone (2).

Francesca Bieker, 31 anni, è formatrice autorizzata e giudice italiano di Sca, QGrader Arabica. Si occupa di formazione e consulenza, presso alcune aziende del settore, soprattutto nella parte relativa alla qualità, dal caffè verde al tostato.

 

 

 

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