Bitter is better. Tutti pazzi per l’amaricante

L’amaro è dei cinque gusti fondamentali probabilmente il più controverso, quello che l’essere umano impara ad apprezzare per ultimo, dopo che le papille gustative sono state “addomesticate” adeguatamente. Piano piano nella nostra crescita iniziamo a togliere lo zucchero dal caffè, a prediligere il cioccolato con alte percentuali di cacao e le birre più luppolate. L’amaro è ad oggi il gusto più affascinante, perché è una pagina scritta solo in parte, un viaggio in cui c’è ancora molto da esplorare.

La nuova vita dell'amaro

Complice da un lato la crescente richiesta di aperitivi come Negroni o Americano da parte di un pubblico legato alla tradizione ma sempre più curioso. Complice anche una nuova età dell’oro della liquoristica italiana che viene sempre più apprezzata all’estero, fatto sta che stiamo assistendo a una espansione senza precedenti del mercato dei bitter, con numerose case liquoristiche italiane nuove o di lunga tradizione che propongono la propria pozione magica.  Il nostro amore per l’amaro ha radici lontane, che camminano di pari passo con la nascita dell’Italia stessa; una giovane Nazione che nei suoi primi anni di nascita, in un misto tra intraprendenza e spericolatezza, ha fatto uscire i bitter e i vermouth dalle piccole botteghe in cui erano nati e li ha portati in tutto il mondo.

Il progenitore? Lo Scottum

È proprio in tempi recentissimi che siamo riusciti a risalire a una delle prime ricette di  bitter, nato intorno al 1850, che è stato l’apripista per un boom di consumi e per la nascita dell’amaromania. In “Gli Italiani a Tavola”, manuale gastronomico per bon vivant scritto da Felice Cùnsolo nel 1959, si parla di una bottiglieria in Piazza della Rosa (l’odierna piazza Pio XI a Milano) in cui un ignoto autore comincia a produrre un bitter chiamato Scottum. “È un complesso miscuglio amaro che sa molto di anice, e lo si vende solo in questo esercizio. La sua particolarità, oltre che nel gusto, sta però nella modalità di consumo. Lo si può bere in piedi, a differenza delle altre bibite che vengono consumate rigorosamente al tavolo. La gente si accostava al banco, sorbiva la bibita, pagava e senza altre cerimonie lasciava il locale”. Lo Scottum merita un posto importante non solo nella storia dell’aperitivo, ma anche in quella del costume. È con l’introduzione dell’uso di bere questa bibita in piedi che si segna l’inizio della fine del caffè inteso come luogo di passatempo, e si apre l’era del bar. Il fatto che lo si potesse bere in un’unica bottega fece non solo la fortuna del suo inventore, ma spinse altri caffè e spacci a creare dei composti amari.

Dal vermouth ai bitter

Il vermouth di Torino rimase l’incontrastato re degli aperitivi fino all’inizio del secolo XIX, epoca in cui gli amari vennero a contendergli il primato. È in questo periodo che l’aperitivo assume un valore figurativo nella cultura italiana, un momento di leggerezza dopo lavoro al quale non si vuole rinunciare, e si partecipa a questo piacere condiviso dal gusto dolceamaro. Si beve soprattutto il Milano-Torino, quel cocktail che celebrava l’incontro tra i vermouth piemontesi e i bitter milanesi, tra cui i fernet, il felsina, il rabarbaro e il bitter all’uso di Olanda (sono gli olandesi i primi a produrre liquori amari), che con il suo colore acceso inizia a incontrare il favore degli habitué dell’aperitivo. Un tempo le differenze tra amari, bitter e vermouth erano più fumose e c’era più contaminazione tra gli stili. Ci sono voluti diversi disciplinari per arrivare ad attribuire ad ogni prodotto una fisionomia propria. Accomunati dall’utilizzo di estratti amari con funzioni aperitive o digestive, la prima distinzione è tra prodotti a base di vino oppure a base di alcol.

Bitter: a base di alcol

Il bitter ricade in questa seconda categoria, che a sua volta ha distinzioni ben precise tra bitter aperitivi, amari digestivi, fernet, chine e bitters molto concentrati, da usare in gocce (come l’Angostura o gli orange bitters). In breve tempo succederà che quei liquori amari dalle tonalità più seducenti, che spaziano dall’acceso rosso scarlatto al carminio passando per varie sfumature d’arancione, diverranno quelli prediletti per l’aperitivo, e saranno i cosiddetti bitter. Avranno una gradazione più contenuta e una tendenza alle note agrumate.

Per il dopocena invece ci si dedicherà alla beva dei liquori amari più scuri e densi, con note erbacee più rimarcate e una gradazione spesso più elevata. Quella propensione al bitter presente nel nostro dna gastronomico da tempo si è poi tradotta in quelli che sono i cocktail italiani che si sono fatti strada lungo la storia: Americano, MiTo, Negroni, Garibaldi, Spritz.

Le 39 ricette raccolte da Martini

Da queste miscele senza tempo inizia il racconto dell’ultima pubblicazione di casa Martini: “The Bartender’s Guide to Making Bitter Choices”. Un percorso che tratta la storia del bitter (il primo prodotto dall’azienda di Pessione risale al 1872) fino alla interpretazione che alcuni tra i più noti barman italiani ne hanno oggi. Trentanove ricette raccolte da Torino a Palermo raccontano la “scelta amara” di ognuno dei protagonisti del libro, suddividendola in due sezioni. La prima è composta dagli Inspired by Classics, cocktail con ingredienti semplici, che non richiedono preparazioni o tecniche particolari se non l’impiego della propria capacità di miscelare unita alla solida conoscenza dei classici. Seguono i Bespoke Flavors, che sono il risultato di interpretazioni creative, anche con tecniche culinarie, che i barman hanno dato al Martini Bitter Riserva Speciale. Il libro rappresenta uno strumento in più per continuare a essere promotori di quel particolare amore per il “bitter” che sempre più sta dando soddisfazione nel mondo ai professionisti, ai clienti e alle aziende storiche e nuove.

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