Ottenuto per infusione o percolazione, erogato alla spina o impiegato in miscelazione. Il cold brew coffee diventa un best seller della stagione calda. Intervista ad Alessandro Galtieri della Caffetteria Gourmet Aroma di Bologna.
RICETTE E IDEE DI SERVIZIO
Francesco Corona, titolare del locale Coffee in Good Spirits a Cuneo, propone un cocktail leggero, energizzante e dissetante per ogni momento della giornata: Eva’s Sin. Lo compongono 30 ml Monin Bitter (non alcolico), 60 ml succo di mela, 60 ml cold brew. Gianni Cocco, docente Aicaf e consulente, consiglia un Cocktail Scomposto che il cliente compone al tavolo. Gli ingredienti sono 150 ml di acqua tonica, 15 ml Mixy Fruit Fabbri al mango e altrettanti al maracuija, 60 ml di cold drip realizzati con caffè Huehuetenango di Coffeel. Il cliente versa nel bicchiere con ghiaccio prima la tonica, poi i due premix, infine il cold drip. Di Bruno Vanzan, invece, un evergreen rivisitato: il Coffee Negroni a base di caffè Gourmet 100% Arabica Hausbrandt.
Le cosiddette estrazioni fredde hanno fatto registrare lo scorso anno un tasso di crescita superiore alle bevande calde e tutte le previsioni vedono nel caffè freddo e affini un trend positivo nei prossimi anni, favorito anche dal suo facile accostamento all’asporto. Una ricerca di Allegra World Coffee Portal sui clienti di coffee shop in Inghilterra nel 2020 ha, ad esempio, evidenziato come ben un quarto di essi si sia dichiarata disposta a consumare caffè freddo anche in inverno.
E, spostandoci negli Stati Uniti, il report Project Iced Usa 2020 di Allegra Worlds Coffee Portal ha stimato che le vendite dei prodotti “iced” siano ormai pari a più di un quinto del totale ricavi delle catene di caffetteria americane: parliamo di 47,5 miliardi di dollari. Se, dunque, un tempo a questa voce faceva capo una gamma ristretta di prodotti (il classico caffè in bottiglia o l’evergreen shakerato), oggi il pianeta “iced” è un mondo complesso, a cominciare dalle numerose bevande preparate con ghiaccio (iced) al cold brew, ai ready to drink in lattina, bottiglia e in cup, per arrivare al nitro, meno diffuso ma in crescita grazie soprattutto al servizio e alla scenografica presentazione: spillato o erogato con un sifone nel bicchiere, si presenta sormontato da una schiuma densa che lo rende accattivante insieme al suo gusto vellutato.
Cold brew, invece, è il risultato di un contatto prolungato del macinato con l’acqua fredda per percolazione o per infusione, che aumenta il corpo ed estrae in misura limitata le note amare, permettendo di percepire la parte più aromatica. Per questo sono suggeriti caffè di singola origine Arabica dalla tostatura chiara, che permettono di conferire alla bevanda aromi e dolcezza, limitando la parte amara. Qualora si vogliano usare miscele con una tostatura più scura, il consiglio è di utilizzare un macinato con una ganulometria maggiore e di ridurre il tempo di contatto, velocizzando l’estrazione. Il contenuto in caffeina è in genere indicato inferiore al classico espresso in virtù della sua alta solubilità in acqua calda; il lungo tempo di contatto tra il caffè e il liquido, tuttavia, permette la sua estrazione in misura del 60% circa, contro il 75% dell’espresso.
Il cold brew dripper, protagonista dell’immagine di apertura del servizio, colpisce grazie alla sua eleganza, alla sua conformazione che ricorda gli strumenti di un laboratorio di chimica e alla particolarità dell’erogazione. Lo compongono tre parti: il contenitore dell’acqua alla sommità, con un rubinetto per regolarne l’uscita; la parte centrale con la polvere di caffè; un bricco nel quale si raccoglie l’estratto. Il tutto è sorretto da una “torretta” per lo più in plexiglas o in legno. A questo strumento coreografico, ma fragile se ne sono nel tempo aggiunti altri più pratici e in materiali sintetici, molto resistenti. Che tipo di acqua va utilizzata? Preferibilmente, dell’acqua fredda filtrata o di bottiglia con valori di 55-110 ppm di durezza totale e 40-70 ppm di alcalinità (per quest’ultima è bene rimanere vicini al valore più basso) con la quale si realizzerà anche il ghiaccio. Va versata nel primo contenitore, regolando poi il rubinetto da cui il liquido scende goccia a goccia: ne risulta un’estrazione lenta e scenografica (ci vogliono circa 6 ore per un’estrazione da mezzo litro), che cattura l’attenzione e invita all’assaggio.
Il metodo per infusione è molto più semplice. Richiede l’utilizzo di un contenitore (meglio in vetro) con un coperchio. Si versano l’acqua filtrata e la polvere di caffè (si suggerisce un rapporto elevato di 100-120 g/litro per ottenere un prodotto concentrato che si andrà poi a diluire), quindi si chiude il contenitore in modo non ermetico e si lascia riposare il tutto per 6-8 ore in frigorifero. Infine si filtra il prodotto, pronto per l’utilizzo. Al caffè si possono aggiungere spezie per ottenere un prodotto dal gusto particolare. Mantenuto a 4 °C, si conserva fino a 3-4 giorni. In entrambe le versioni i caffè si possono servire lisci (se concentrati sono da diluire) meglio on the rocks, aromatizzati e anche utilizzati per ottenere drink analcolici e alcolici.
Un’ultima proposta in tal senso è il cold brew alla spina, facile da ottenere grazie a pratici bag in box collegati agli impianti di spillatura: variamente miscelato, è particolarmente gradito dai più giovani. Infine sorprende sia per l’aspetto sia per il gusto il nitro coffee, erogato da un impianto alla spina, da un fusto o un sifone: l’azoto, solubile in acqua, conferisce al caffè dolcezza e rotondità: erogato nel bicchiere si presenta sormontato da una schiuma densa e persistente. Ci sono poi sistemi da banco ad aria compressa; rispetto all’azoto danno un po’ più corpo e minore crema; dalla loro hanno il vantaggio di non necessitare della ricarica di gas e di offrire un prodotto più stabile. *
I QUATTRO PASSAGGI CHIAVE DEL COLD BREW DRIPPER
1. versare il macinato
Nella la camera di estrazione si pongono 35 g di caffè macinato a 800-900 micron da livellare bene dando dei piccoli colpi al contenitore, quindi si copre con l’apposito filtro in carta precedentemente bagnato.
2. versare l’acqua
Nel serbatoio superiore si versano 500 ml di acqua fresca o 400 ml di acqua + 100 di ghiaccio; l’acqua deve essere filtrata, comunque con valori di 55-110 ppm di durezza totale
e 40-70 ppm di alcalinità (per quest’ultima rimanere vicini al valore più basso).
3. dare il via alla percolazione
Dare il via al gocciolio, consigliato di 6 gocce in 10 secondi; la goccia deve cadere sul piccolo cilindro metallico che sporge dalla polvere di caffè al centro, al fine di diffondersi uniformemente sul macinato.
4. completare l’estrazione
Dopo circa sei ore l’estrazione è completata; si consiglia di non prelevare il liquido durante la percolazione, ma di concluderla al fine di avere il perfetto bilanciamento. Solo a questo punto si può servire leggermente diluito, meglio con ghiaccio o utilizzare come base per la miscelazione.
Intervista ad Alessandro Galtieri, titolare di Caffetteria Gourmet Aroma di Bologna
Quale metodo di estrazione a freddo consigli di avere in un locale: cold drip o a infusione?
Direi entrambi. Il primo, attira l’attenzione, il secondo permette di fare volumi. Difficile non soffermarsi sul drip, con la sua forma particolare; tutti rimangono ipnotizzati dalla goccia che cade e da lì scatta la voglia di saperne di più e di gustare il prodotto. Tuttavia con questo tipo di preparazione si possono servire poche bevande e i volumi non sono interessanti a fronte del tempo richiesto per la preparazione. Se la domanda è elevata, l’infuso è l’estrazione ottimale. Di solito il drip ha un rapporto acqua/caffè di 1/15 (15 grammi/litro); suggerisco di non scendere oltre un rapporto 1/13. Con l’infusione si arriva a 1/4, dunque dopo un tempo che può variare da 8 a 24 ore si ha un prodotto concentrato, da diluire prima dell’utilizzo. Personalmente per un cold drip ho un tempo di preparazione di un paio d’ore.
Un’estrazione a caldo può avere le stesse caratteristiche organolettiche di una a freddo?
Pensiamo all’espresso: la variazione di pochi gradi influisce sul gusto, permettendo di esaltare l’acidità, la dolcezza o l’amarezza. Quando prepariamo una bevanda a freddo, possiamo raggiungere lo stesso livello di estrazione di un espresso, ma non con le stesse sostanze, perché alcune sono solubili sia in acqua calda, sia in acqua fredda, altre più nella prima che nella seconda. Non avremo la stessa composizione, almeno non nelle stesse proporzioni, dunque non potremo pretendere di gustare una bevanda fredda con le caratteristiche di gusto di un espresso.
Andiamo verso la stagione calda in cui l’asporto sarà protagonista: un buon momento per le bevande fredde?
Penso di sì, soprattutto per l’italiano che difficilmente esce dall’”aia” dell’espresso, che consuma il più vicino possibile al banco per poterlo gustare ben caldo. Un cold brew non dà questi problemi e grazie al suo maggiore volume ha più inerzia termica, quindi non si scalda rapidamente ed è ideale da gustare passeggiando. Un aspetto interessante di queste estrazioni è che si prestano alla realizzazione di diverse preparazioni, a cominciare dall’unione con il latte per arrivare alla mixology.