Sul banco di… Andrea Gori

il sommelier informatico Andrea Gori

Sommelier informatico, Andrea Gori in queata intervista ci aiuta a rompere la monotonia di proposte piatte e senza logica sul tema del vino al bar. Bisogna invece imparare a raccontarlo e spesso bastano solo dieci secondi.

Andrea Gori si definisce “sommelier informatico”. All’attività di oste nella storica trattoria di famiglia, Da Burde a Firenze, abbina quella di comunicatore 2.0. Tra i pionieri nel parlare di vino in rete, oggi Andrea nel settore del vino è tra i primi 20 “influencer” (ovvero i comunicatori più influenti) al mondo secondo Klout e il primo in Italia.

Quali sono gli errori principali nel servire il vino al bar?
A volte si usano bicchieri non adeguati. Le etichette non vengono fatte ruotare, non c’è molta varietà. Soprattutto, i vini non vengono adeguatamente spiegati. Questo non vuol dire che debbano essere degustati o descritti in maniera complessa, però alcune indicazioni vanno date. Infine, potrebbero essere serviti sempre con un piccolo abbinamento al cibo.

Le bollicine vanno di moda, ma spesso il tutto si riduce alla proposta di un “Prosecchino”. Come andare oltre?
Sicuramente il Prosecco ha fatto avvicinare al mondo del vino persone che prima non lo bevevano. Spesso, non viene nemmeno percepito come vino. Però, può essere usato come cavallo di Troia per far capire alle persone la grande ricchezza delle nostre bollicine. Potrebbe essere una buona idea affiancare al Prosecco altre 2-3 tipologie di spumanti, un metodo classico, ma anche un Lambrusco o i tanti autoctoni charmat che oggi vanno di moda. Molti vitigni italiani hanno una versione spumante, è una ricchezza che non esiste in nessuna parte del mondo. Potrebbe essere divertente, a seconda della regione in cui uno si trova, fare un po’ di ricerca. Però questi altri vini devono essere chiamati con nome e cognome. Mi è capitato che a Capalbio mi venisse offerto il “Prosecco di Capalbio”.

I baristi sanno come servire i cosiddetti nuovi vini, quelli, per capirci, naturali, biodinamici, vegani, liberi eccetera?
In generale, no. Sono vini difficili, l’esatto contrario dei cosiddetti “vini da bar”, nel senso che talvolta non hanno una costanza qualitativa e aromatica, e richiedono comunque sempre un racconto. E al bar spesso non c’è il tempo, la voglia, la cultura per spendere qualche minuto in più per spiegarli. Sono più complicati da servire, però funzionano molto bene se presentati come categoria a sè, per esempio se sulla lavagnetta viene proposto il “vino naturale della settimana”. Esistono poi bar che servono solo vini naturali e questi alla fine contribuiscono a selezionae la clientela.

Direbbe che i gestori del bar trattano il vino come uno dei tanti altri prodotti che vendono?
Direi pittosto che lo trattano peggio, nel senso che la maggior parte non ce l’ha. Chi ce l’ha, fa veramente la differenza, perché il bar è un luogo dove la gente si lascia consigliare e si instaura una certa complicità fra barista e consumatore. Spesso al bar i vini vengono forniti da distributori che trattano acqua e birra. La scelta si fa in base al prezzo o all’etichetta più bellina, però qualcosa sta cambiando. Ci sono distributori di bevande che, quando decidono di proporre il vino, per prima cosa formano i propri clienti. È inutile avere in carta vini particolari se poi non si sanno come proporli e venderli.

Qual è allora il ruolo del bar oggi per avvicinare al vino la clientela più giovane che dovrebbe essere in teoria quella più ricettiva alle proposte enologiche alternative e un po’ fuori dai soliti schemi?
In prospettiva, è più importante il bar per il vino che il vino per il bar. Le aziende vinicole dovrebbero insistere di più sul settore dei bar classici se vogliono raggiungere il mercato dei giovani, perché è uno dei pochi luoghi dove possono incontrare un pubblico nuovo. Paradossalmente è qui che il vino dev’essere spiegato con più competenza. Chi entra in un wine bar o in un’enoteca è già conquistato, ma sempre meno persone ci vanno. I giovani hanno tanta curiosità verso il vino e quest’interesse non va sprecato.

Parliamo del vino al bicchiere, croce e delizia di molti gestori. Come questo tipo di proposta può contribuire a far girare la cantina?
Diciamo subito che non occorre avere una carta enciclopedica, bastano dalle 5 alle 10 proposte al bicchiere, a prezzi ben scalati, con un ventaglio tra i 3,50 e i 10 euro al calice e almeno un paio di proposte per ogni fascia di prezzo. Non ha senso avere dieci vini allo stesso prezzo o quasi, la gente deve percepire la differenza di qualità. Il prezzo deve permettere di coprire il costo della bottiglia con due bicchieri venduti, così il barista è libero di sbicchierare anche bottiglie importanti. Va messo anche il prezzo per la bottiglia, senza ricarichi eccessivi.

Se dovesse dare un solo e ultimo consiglio per vendere il vino al bar quale sarebbe?
Mai servire un bicchiere di vino senza raccontare una storia. Bastano due o tre parole, 10 secondi. Non c’è bisogno di fare voli pindarici, anzi. In questo momento, nel mondo del vino meno voli pindarici si fanno, meglio è. Se il consumo del vino in Italia cala sempre di più è anche perché la comunicazione del vino è stata fatta in maniera troppo settoriale ed elevata, e la gente s’è spaventata. Però, attenzione, se il vino è un vino e basta, non funziona mai.

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