Poca qualità nell’espresso italiano

Indagini –

Il quadro che tracciano Altroconsumo e l’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè sulla tazzina al bar non è lusinghiero. C’è ancora molto da fare, soprattutto per la cultura del prodotto

Prezzi, un tema caldo. Oggi, più che mai. Le cronache dei giornali registrano quotidianamente gli aumenti di prodotti alimentari di largo consumo e tengono una contabilità certosina di ritocchi e rialzi. Ovviamente anche il prezzo del caffè, o meglio della tazzina, è entrato nell'occhio del ciclone delle associazioni consumeriste.
L'ultima organizzazione in ordine di tempo a monitorarne i listini è Altroconsumo che ha rilevato i prezzi medi di caffè, cappuccino e brioche nei bar considerando sia locali storici e centrali, sia bar della periferia di Bari, Bologna,Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia. Nente di nuovo sotto il sole: le città d'arte e turistiche, come Roma, Firenze o Venezia, si confermano le più bollenti. A Roma, ad esempio, una prima colazione servita al tavolo arriva a costare quasi 5 euro (per la precisione 4,92 euro per cappuccino e brioche) e a Venezia cappuccino e brioche valgono uno scontrino medio di 2,23 euro.
Si conferma, inoltre, la forbice di prezzo tra nord e sud: ad esempio, Bari, Palermo e Napoli sono le città dove cappuccino e brioche al banco costano mediamente di meno.
Al di là di aumenti palesemente indiscriminati, occorre dire che il caffè vive le spinte inflazionistiche di qualsiasi altro prodotto: al suo prezzo finale concorrono i costi della materia prima, della lavorazione, della distribuzione. Senza parlare del bar che, come una qualsiasi impresa, deve render conto alle leggi dell'economia. E, dunque, ben vengano le rilevazioni ma occorre convincersi che la tazzina non è di per sé un bene “calmierato” o da tessera annonaria.

Qualità e servizio, sfida tra Milano e Roma
Più interessante è invece l'inchiesta che sempre Altroconsumo ha condotto in collaborazione con l'Istituto internazionale assaggiatori caffè (assaggiatoricaffe.org) e il Centro studi assaggiatori di Brescia (assaggiatori.com) per una valutazione in toto di dieci bar romani e milanesi, tutti situati nei centri storici delle rispettive città: un'analisi sensoriale-ambientale che ha tenuto conto, oltre che della qualità dell'espresso in tazzina, anche dell'ubicazione del locale (posizione e tipo di architettura), qualità dell'ambiente (ordine, pulizia, odori ecc.), tipo di servizio (velocità, efficienza, gentilezza), l'abilità del barista e altro. Una sorta di check up.
Per quanto riguarda il capoluogo lombardo, solo Peck convince - seppur non completamente - i giudici. Dietro al locale di via Spadari, si sono piazzati altri locali storici molto conosciuti come Bastianello, Marchesi, Mercanti e Biffi. In questo caso, i giudizi variano dal medio-buono al mediocre.
Bastianello, che utilizza una propria miscela (un dato comune a molti altri locali presi in esame) si merita un giudizio molto positivo sia per la tazzina, sia per la qualità dell'ambiente: una combinazione magica che sembra, almeno a stare dalle risultanze dell'indagine, difficile da raggiungere anche per i locali più qualificati e di lunga tradizione.










Scarica l'indagine completa di Altroconsumo



La classifica dell'espresso
Ancora più preziosa per comprendere lo stato di salute della tazzina è un'ulteriore indagine sulla qualità dell'espresso in Italia. A valutarla sempre gli esperti dell'Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè che hanno visitato (anche più volte) un panel di 811 bar in 16 regioni italiane.
Partiamo dalla qualità del bar in quanto locale: su una scala da 0 a 9, il 50% dei pubblici esercizi si posiziona tra il 6 e l'8. Ma non mancano bar dove l'accoglienza e la professionalità sono davvero eccellenti, con valori tra l'8 e il 9. Nota dolente, il 25% del campione risulta insufficiente o raggiunge a fatica il “6 politico” allo scrutinio degli esperti. A pensarci bene, è un dato da non sottovalutare: sui circa 150mila bar e caffetterie in attività, sapere che 37mila lasciano il cliente insoddisfatto fa riflettere.
La situazione peggiora se parliamo di qualità dell'espresso in tazza dove per i 5 parametri considerati (vista, olfatto, tatto-gusto, retrolfatto e giudizio globale) solo la vista si colloca sul 7, mentre per gli altri indici i valori di giudizio si collocano mediamente sul 6. Non mancano anche in questo caso punte di eccellenza, ma neppure gli zero assoluto (i dati sono stati convalidati dal Centro Studi Assaggiatori di Brescia).
Insomma, l'espresso risulta alla fine più bello che buono. I dati, come ammettono gli stessi ricercatori, si aprono a considerazioni di diversa natura. Certo è che se la qualità è mediamente scadente o appena sufficiente, non si può scaricare la colpa sul barista. E se molti non hanno superato il rigoroso esame sensoriale degli assaggiatori non è perché non siano stati abili o perché la miscela non fosse di prima qualità.
Un barista che lavora in un locale “altovendente”, posizionato in un'arteria di intenso traffico commerciale, arriva a preparare anche centinaia di caffè al giorno ed è impossibile pretendere che tutti siano a regola d'arte. Questo non vuol dire che sul fronte della professionalità non ci sia ancora molto da lavorare e nonostante l'impegno di produttori di macchine da caffè, torrefattori, centri di formazione è evidente che esiste un gap formativo.

Servono professionalità esperte
Semmai questa analisi è la spia di una fase di ricambio generazionale che sta vivendo tutto il settore in cui nuove leve di professionisti, non tutti all'altezza, prendono il posto della vecchia guardia: una fase di transizione, sui cui incide la difficile congiuntura, che ha accelerato il turn over delle gestioni. Molti si improvvisano baristi senza sapere che l'espresso non è un prodotto da mass market, ma un semilavorato frutto di una lavorazione artigianale. Detto questo, il caffè non è il vino.
Oggi al ristorante anche il consumatore meno colto sa distinguere se un vino sa di tappo e non ci pensa un attimo a rispedire la bottiglia al mittente, al bar quasi nessuno boccia un caffè cattivo. Se in campo enologico c'è stata una diffusione trasversale di “sapere” che ha generato un livello maggiore di attenzione sull'offerta, per il caffè questo non è ancora successo.
Una banalizzazione del gusto che emerge dalla ricerca: ad esempio, ben il 56% dei bar non riporta all'esterno la marca del caffè che utilizza. Anche in questo caso è illuminante il parallelo con il vino: infatti, una bottiglia si sceglie dall'etichetta e più il consumatore è sapiente, maggiore è la sua capacità di scelta. Al bar, l'informazione è spesso ancora un lusso.

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