Si sviluppa, soprattutto all’estero, l’abitudine di suggerire nelle bottiglie la migliore combinazione cibo-vino
I consumi cambiano, i gusti evolvono e anche il vino deve stare al passo. E con il vino, naturalmente, pure il packaging e l'etichetta. Almeno, così la pensano gli americani, che quando scoprono un business lo declinano in tutti i modi possibili e immaginabili. Non è un caso quindi se negli States stanno riscontrando un grande successo commerciale alcuni produttori che hanno puntato tutto sulla chiarezza e sull'efficacia del messaggio, con l'idea di suggerire senza equivoci gli abbinamenti ideali con il cibo. È il caso del “Wine That Loves”, il vino che ama, ideato dalla Amazing Food Wine Company, un'azienda di San Francisco che ha impostato la costruzione dei suoi vini partendo dal cibo a cui si devono accompagnare. E così sono nati il vino “che ama” la pasta con la salsa di pomodoro, il pollo arrosto, la pizza, il salmone alla griglia e la bistecca alla piastra. Che siano Pinot nero, Merlot o Syrah non interessa, gli appellativi d'origine e i nomi dei vitigni non svolgono alcuna funzione in questa idea di marketing. Si parte dal piatto, da quello che il consumatore ha voglia di mangiare.
Il successo del PizzaVino negli States
La stessa cosa vale per il PizzaVino, proposto in tre versioni, Pinot Noir, Cabernet Sauvignon e Pinot Grigio dalla JZ Wine Company dell'Ohio, con un prezzo di vendita imposto di 8,99 dollari (neanche poco quindi) e una bella pizza al salame che campeggia in etichetta. Il PizzaRed dell'australiana PizzaWine Company non si spinge fino a riprodurre immagini di cibo, ma basta già il nome a suggerire l'accostamento ideale. Testimonial del prodotto è Andy Parisi, world pizza champion (campione del mondo di pizza) nel 2004, che fornisce insieme alla bottiglia alcune idee di farcitura (per la pizza, ovviamente). Tutti questi esempi indicano dunque una nuova tendenza, molto vitale soprattutto all'estero, che tralascia le informazioni a beneficio degli intenditori per acchiappare il cliente con un messaggio più diretto.
In Italia regna la tradizione
Anche in Italia qualcuno ha provato a seguire l'idea. Folonari per esempio, con il suo Vino Gusto in tre versioni, Fruttato, Corposo e Leggero, ha provato a sedurre suggerendo la consistenza del proprio vino piuttosto che l'assemblaggio. Non ci risultano altri esempi del genere messi a punto in Italia mentre una proposta americana simile, quella di Best Cellars sta invece andando bene. Ma gli Usa, si sa, sono altra cosa rispetto l'Italia. Forse il consumatore italiano si ritiene troppo competente per “abbassarsi” a comprare un vino così poco da intenditore? Oppure siamo attratti dai nomi tradizionali, che in noi evocano legame alla terra d'origine e accendono l'immagine di verdi colline?
Una soluzione giusta per locali moderni
Probabilmente entrambe le risposte sono sbagliate. «Guardo le etichette che spiccano sui miei scaffali - dice Giovanni Consonni, enologo e distributore, con grande predilezione per le piccole cantine e i ristoranti di pregio - e vedo solo immagini classiche: colline, contadini, viti. Quasi nessuno propone abbinamenti con l'immagine in etichetta. Spesso lo fanno in retroetichetta, ma troppo volte sono consigli scontati: il bianco con il pesce, il rosso corposo con gli arrosti: tanto varrebbe non indicare nulla. Sono pochi quelli che consigliano abbinamenti originali». L'idea del “vino-cibo” inadatta all'Italia? Sembrano confermarlo anche le performance nella grande distribuzione di etichette un po' diverse, che non incontrano il favore del pubblico. «In realtà - dice Consonni - io vedo bene il “vino-cibo” in locali da 400 - 800 coperti a sera, pizzerie o ristoranti di tendenza, con un giro veloce di clientela, giovane o di passaggio. Ecco, in un locale di questo tipo, arredato modernamente, mi immagino pareti intere attrezzate a bottiglieria, completamente ricolme di bottiglie di vino-pizza o vino da pesce». Questione di target dunque e di oculata proposta commerciale.
La nuova tecnologia per le etichette
Nel frattempo però c'è chi punta tutto sulla tecnologia. L'Istituto superiore Mario Boella di Torino ha per esempio sviluppato un concetto di etichetta intelligente che, attraverso il codice a barre o un microchip incorporato, può fornire una mole di informazioni supplementari impossibili da collocare su una comune etichetta cartacea. Si può andare dalle semplici notizie sull'azienda produttrice, alle ricette dei cibi da abbinare fino addirittura a filmati o video che mostrano l'area di produzione o le fasi di lavorazione. Lo sviluppo di questa etichetta è prevista in due fasi, in base anche alla diffusione delle tecnologie adatte per la lettura. Il codice a barre è per il momento il sistema più diffuso: molti supermercati consegnano ai clienti i lettori per la visione dei prezzi e il calcolo della spesa e sono già in commercio modelli di telefoni cellulari in grado di interpretare i “barcode”.
I sistemi Rfid
Ma l'evoluzione successiva, secondo gli esperti dell'Istituto Mario Boella, è la tecnologia Rfid, che sta per “radiofrequency identification”, identificazione in radiofrequenza. Si basa sull'utilizzo di microchip miniaturizzati dotati di antenna e batteria, che possono contenere una quantità di dati di gran lunga superiore rispetto a un normale codice a barre. Che però si possono “leggere” soltanto attraverso alcuni modelli di palmare. Del resto andiamo verso tempi in cui le normali etichette non saranno più sufficienti a contenere tutte le informazioni di legge, che di anno in anno diventano sempre più numerose. Come l'obbligo, stabilito dalla Commissione europea, di indicare tra le diciture anche l'eventuale utilizzo dell'albumina e del lisozima delle uova o della caseina del latte, impiegate per chiarificare il vino.