In Italia il 22% delle consumazioni avviene secondo le modalità del take away. Un business in piena salute e in espansione. I consigli dei nostri esperti
Se c'è un fenomeno da tenere d'occhio in questo momento di generalizzata contrazione dei consumi, è il take away, che sta crescendo molto nella ristorazione e soprattutto nei bar. A sottolineare la portata di un fenomeno in crescita già dalla seconda metà del 2011 è Matteo Figura, foodservice manager di Npd Group/Crest, la società specializzata in analisi di mercato che tiene d'occhio, per conto di Bargiornale, le abitudini degli italiani nei locali pubblici.
La tendenza trova anche un autorevole riscontro nell'indagine, condotta su un campione di 5.000 ristoranti di Roma e Milano, commissionata dal gruppo JustEat Italy, un portale che raccoglie le ordinazioni di cibo a domicilio per 15.000 ristoranti in 13 Paesi del mondo. Secondo la ricerca, sono ben il 60% i ristoranti di Roma che hanno attivato anche un servizio di take-away. A Milano la percentuale scende al 48%, ma gli esercizi meneghini sembrano più inclini a garantire anche la consegna a domicilio (a farlo è il 17% dei ristoranti contro il 14% di quelli della Capitale).
I dati raccolti per l'Osservatorio di Bargiornale e quelli di JustEat forniscono una serie di indicazioni su cui vale la pena fare una riflessione.
Innanzitutto emerge come proprio i bar e il cosiddetto “quick-service” stiano sperimentando una crescita dell'asporto, che ha una duplice chiave di lettura. Da una parte sta cambiando l'abitudine degli italiani a consumare cibo soltanto negli orari canonici del pranzo e della cena. Lo spuntino, o snack, si sta affermando come occasione di consumo con analogie, ma anche differenze, rispetto a quanto si osserva già da tempo in mercati come quelli anglosassone o tedesco. L'abitudine a consumare cibo per strada, in qualsiasi orario del giorno, è molto tipica di città come Londra o New York, ma ha stentato a prendere piede da noi, dove finora è stata vista soprattutto in senso negativo, espressione di un modo disordinato e poco salubre di nutrirsi. Le ultime indicazioni in tema di alimentazione equilibrata, fatte proprie anche dall'Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, www.inran.it), sposano però l'idea di suddividere il cibo della giornata in cinque pasti, di cui tre principali e due spuntini a metà mattina e a metà pomeriggio. Sono proprio questi snack a costituire un ottimo pretesto per il consumo take away. Non è un caso che i dati Npd Group/Crest registrino un aumento di questo tipo di acquisto al bar proprio negli orari tipici dello “snacking” (così viene chiamato il consumo legato agli spuntini), che può riguardare varie tipologie di prodotti, dal gelato al panino, dalla macedonia di frutta al dolce di piccola pasticceria.
Il take away non risente della crisi
«C'è però anche un'altra interpretazione per l'aumento del take away - spiega Figura - che risiede nella sempre più ridotta capacità d'acquisto degli italiani nel fuori casa. Da tempo assistiamo a questo fenomeno, che definiamo di “razionalizzazione dei consumi” e che si esprime in step successivi: all'inizio si riduce il numero di portate consumate, a cena o in pausa pranzo, sia nella ristorazione sia nei bar, in modo da diminuire la spesa procapite. Infine si arriva all'acquisto “off premise”, cioè effettuato per consumare il prodotto al di fuori dell'esercizio, che ha la motivazione di ridurre ulteriormente la spesa evitando per esempio il coperto o l'acquisto di bibite e caffè».
Questo tipo di ricorso all'asporto, che ha l'obiettivo esclusivo di ridurre le spese, si riscontra soprattutto negli acquisti per la pausa pranzo e per la cena. Nel primo caso sono coinvolti soprattutto i bar, nel secondo anche i ristoranti, che si affiancano sempre più alle pizzerie, da sempre nelle abitudini degli italiani per quanto riguarda il take-away. Dall'indagine JustEat Italy emerge invece sempre più chiaramente come al servizio di asporto si accompagni sempre di più il servizio a domicilio. Le due attività sono intimamente collegate e spesso, chi inizia con la prima, si ritrova poi a sviluppare anche la seconda.
Le opportunità per il bar
Come può allora un bar sfruttare questo business? «Il problema per chi decide di affrontare questo tipo di servizio risiede soprattutto nell'organizzazione e nell'immagine», spiega Carlo Meo, esperto di marketing e docente del Poli.Design, consorzio del Politecnico di Milano. «I modelli che il cliente ha in mente quando parliamo di cibo da asporto sono quelli proposti da catene e grandi marchi organizzati, che puntano tutto sulla freschezza del prodotto ma anche sull'immagine coordinata e su prodotti pensati ad hoc per questo tipo di servizio. Un esempio, pescato dall'estero, può essere quello di Prêt-a-manger. In una società in cui siamo abituati a packaging sempre più raffinati e funzionali (e anche logici dal punto di vista dello smaltimento dei rifiuti), il classico panino riscaldato avvolto nella stagnola e messo in un sacchettino bianco, con quattro tovaglioli alla rinfusa, non può più essere il modello di servizio, né per il take away né per il delivery».
Il barista che si accinge a migliorare il proprio servizio da asporto deve quindi preoccuparsi essenzialmente di tre cose. La prima è dotarsi di un set coordinato di vaschette, tovaglioli, posate e sacchetti che dia immediatamente al cliente un'idea di organizzazione e che, quindi, il servizio sia stato pensato nel minimo dettaglio e faccia parte di una strategia aziendale. Anche perché il cliente nel momento del consumo, dovunque questo avvenga, deve trovarsi tutto a disposizione, senza dover cercare posate, bicchieri o tovaglioli. Il secondo aspetto sta nell'organizzazione del lavoro: le proposte per il take away devono essere già pronte nel momento in cui il cliente le richiede, per non incidere sulla gestione del normale lavoro. Panini, insalate, macedonie, dolci o altre idee devono essere confezionati pensando quindi a un asporto immediato: meglio evitare i sandwich imbottiti da scaldare e puntare piuttosto sui tramezzini. Il terzo aspetto, infine, è ragionare sui servizi che si possono offrire nella zona. Per esempio, se il locale si trova in una zona residenziale può essere opportuno proporre idee per party a domicilio o incentrati su prodotti ricercati, perché è presumibile che la clientela si avvalga del take away per la cena o per organizzare party con gli amici.