Il gusto in punta di dita

Ricettario –

Come dar vita a bocconi unici e golosi? Lo si è visto al campionato italiano dedicato ai finger food. E uno dei giurati ci racconta qualche segreto

Hanno addirittura una data di nascita precisa, cosa che nel mondo della cucina accade davvero di rado. «Il termine Finger Food - spiega Marco Valletta, chef, docente di corsi di cucina - nacque formalmente tra il 12 ed il 17 febbraio 2002 nel contesto di Expo-Gast di Salisburgo dove, durante la competizione triennale, il regolamento della manifestazione prevedeva per le squadre nazionali di chef di cucina che partecipavano, un programma tematizzato, appunto, sui finger food. Nei parametri, del resto molto generalizzati, si indicavano i finger come un'idea gastronomica collocabile ad inizio pasto, articolata, che poteva essere mangiata in punta di dita».

Un piacere trasversale
Il successo che ha toccato queste proposte è ormai noto ed è trasversale al mondo del fuori casa. Da tempo, infatti, i finger sono usciti dalla porta dalla ristorazione più classica per varcarne un'altra: quella dei bar, all'interno dei quali sono ormai una realtà consolidata quando si parla di aperitivo e happy hour.
Evento fondamentale in Italia, quando si parla di finger, è quello che si tiene presso Tecnobar & Food (l'ultima edizione a Padova dal 7 al 10 febbraio scorso). All'interno del Salone biennale dedicato al fuori casa si è appena conclusa la seconda edizione di Chef in Punta di Dita ovvero il Campionato Italiano dedicato ai finger food quest'anno tematizzato attorno ai prodotti del mare. Due le prove che i partecipanti hanno sostenuto. Quella relativa ai finger food caldi (dove ha vinto Pietro Arezzi di Catania che ha presentato: Seppioline ripiene ai sapori mediterranei e telline scoppiate su cestinetto di patate novelle) e quella per i finger freddi (dove ha vinto Fabio Mancuso di Palermo che ha presentato: Sgombro in agro dolce di anice stellato; Delizia di mare con astice e profumo di alga nori e mantello di cozze e chiodini in intingolo di maionese allo yogurt; Metamorfosi di orata e gamberi rossi di Sicilia su cialda croccante e mousse di mare alle erbe fini).
Tra i membri della giuria, capitanata proprio da Marco Valletta, anche Roberto Carcangiu, noto professionista, consulente e chef, che a Bargiornale racconta i plus emersi durante il concorso, ma anche le peculiarità che dovrebbero caratterizzare i finger normalmente serviti nei locali italiani.

Occhio al costo di produzione
«Oltre all'aspetto puramente gustativo - dice Carcangiu -, anche il finger food ha precise regole da rispettare durante la sua creazione e quindi la preparazione. Al concorso padovano di quest'anno sono emersi appieno tre concetti fondamentali del corretto finger. Ovvero semplicità, territorialità e soprattutto fattibilità. Tre aspetti che alla fine devono riassumersi in un gusto piacevole e accattante, ma soprattutto nella possibilità per il cliente di acquistare quanto gli viene offerto in un locale». Insomma se è facile stupire partendo, per esempio, da un medaglione di aragosta, diventa poi difficile mettere in carta un finger dal prezzo necessariamente alto perché alto è il costo delle materie prime che lo compongono.
«Il costo di produzione è fondamentale - sottolinea Carcangiu - e anche su questo aspetto abbiamo insisitito nel regolamento del concorso e nella valutazione dei lavori degli chef. Non ha senso far diventare un finger food un espressione d'arte culinaria. Il finger food, per sua natura, deve essere facilmente preparabile ed economicamente sostenibile, sia per il professionista che lo prepara sia per il cliente che lo acquista». Un consiglio per chi sta pensando di offrire una piccola (o anche vasta, perché no?) offerta di finger food nel proprio bar? «Quello - dice Carcangiu - di non far diventare il finger food una proposta di élite, una moda che come tale è destinata a passare in fretta. Fondamentale l'equilibrio tra qualità e prezzo di vendita. Il finger food deve saper soddisfare la voglia del cliente di degustare uno o più sapori, ma anche di mangiare se lo desidera, e abbinare tali gusti al giusto calice di vino o aperitivo, cocktail o long drink. Insomma il finger food deve essere un motivo di attrazione per il cliente, quindi abbastanza importante da attirare l'attenzione, ma non troppo importante da spaventarlo per la difficoltà negli accostamenti proposti o per il costo del singolo finger. Se ogni boccone costa due euro, per esempio, diventa difficile per il cliente medio potersi permettere un aperitivo come si deve, soprattutto se consideriamo il costo della parte beverage e il fatto che durante l'aperitivo il finger acquistato non può e non deve essere soltanto uno».

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