Hong Kong e il vino esentasse

Export –

Hong Kong è la porta d’accesso per l’export di vino in Asia. La recente abolizione dei dazi ha già scatenato la concorrenza dei produttori europei. E l’Italia sta a guardare

Lo scorso febbraio l'amministrazione di Hong Kong ha eliminato in un colpo solo tasse e dazi sull'importazione di vino. Pochi giorni dopo, si muovevano dai porti europei navi container cariche di vini pregiati destinati al mercato asiatico. Nelle settimane successive, fiutato l'affare, molte società di distribuzione cinesi ed internazionali annunciavano l'apertura di una sede nella città di Hong Kong, divenuta la porta d'ingresso privilegiata per la commercializzazione del vino in estremo Oriente. Ma è anche lo stesso mercato di Hong Kong a fare gola a tanti: una città ricca, moderna, attenta alle mode e alle nuove tendenze, piena di ristoranti internazionali, ben 130 di cucina italiana. E soprattutto, una popolazione benestante con 30mila miliardari.

Wine futures e aste per milioni di dollari

Molti analisti sostengono che il business del vino in Asia si giocherà tra Hong Kong e Singapore, la rete della concorrenza è però più larga di quanto si pensi. A metà agosto anche l'ex colonia portoghese di Macao, oggi regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese, ha eliminato in un sol colpo tasse e dazi sul vino. Secondo l'Hong Kong Trade&Distribution Council dal giorno dell'azzeramento fiscale ha preso a svilupparsi con grande vitalità anche un altro comparto, quello degli investimenti sul vino. Ovvero: titoli en primeur (i wine futures), aste e fondi di investimento. Un comparto che sta crescendo addirittura più velocemente del tasso d'importazione del vino.
Francesi all'attacco dell'Asia

Ben dieci aste sono in programma l'anno prossimo. «E per il 2008 - prevede William Chan, presidente della Hong Kong Wine&Spirit Industry Coalition - un valore in vini pari a 30 milioni di dollari sarà battuto all'asta».
Colte al volo le intenzioni, i più agguerriti Paesi produttori, Francia e Australia in testa, si sono mossi per tempo per consolidare (i francesi) o migliorare (gli australiani) le proprie quote di mercato. La Francia, che a Hong Kong promuove da anni una scuola di formazione sul vino, ad agosto ha siglato un accordo con il governo locale che prevede una collaborazione con la Camera di commercio di Bordeaux per favorire la formazione sul vino e la distribuzione. L'Italia, invece, stenta a dare un'immagine di sistema e soprattutto a essere presente e ben visibile sul mercato locale. A parte alcuni grandi nomi, come Gaja, Antinori e Masi, non riusciamo ad essere efficaci e fare gioco di quadra.
Abbiamo però un grande vantaggio, l'appannaggio dell'alta ristorazione di Hong Kong. Oggi nei top hotel di Hong Kong i ristoranti di alta qualità sono tutti italiani, dieci anni fa erano francesi. Il problema è che si mangia italiano, ma si beve francese. Non ovunque e non sempre, però la tendenza è questa. Inoltre siamo fiacchi sul marketing a confronto dei soliti australiani e francesi. Lo sostengono i più grandi importatori di Hong Kong e della Cina. La posta in gioco è molto alta. Il consumo di vino in Asia gioca al raddoppio: varrà 12 miliardi di dollari nel 2012 e 27 miliardi nel 2017. È in questo scenario che si inserisce la mossa di Hong Kong: intercettare il 24% del vino importato in Asia nel 2012 e il 33% nel 2017.

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