Il Brasile oltre la Caipirinha

Fabio La Pietra

Il più celebre barman in Brasile è italiano e lavora al SubAstor di San Paolo. Con Fabio La Pietra parliamo di spirit, biodiversità e di SuperBar Professional Show, primo bar show locale organizzato dalla nostra casa editrice per il prossimo 25-26 aprile a San Paolo.

Che ca**o ci faccio qui? Anno 2013. Un comprensibile senso di alienazione avvolge Fabio La Pietra, appena ventitreenne, di fronte al magro bottigliere del SubAstor di San Paolo. Più che stupito, sarà per il nome, è impietrito. Quel che sa di portoghese l’ha imparato ascoltando musica brasiliana, degli usi locali è completamente digiuno, ma gioca il jolly sulla sua straordinaria capacità di fare drink e farli bene. La Pietra, nella sua “vita passata”, era capo barman al Montgomery Place di Notting Hill, quell’intimo locale londinese dove è passato il Gotha del bartending contemporaneo: Agostino Perrone, Nidal Ramini, Marian Beke e Ales Olazs, solo per fare un poker.
Al SubAstor, boutique bar frequentato dal popolo bohemien della nottambula Vila Madalena, nella parte ovest della città paulista, inizia a introdurre una bottiglia nuova alla volta. Con pazienza. Oggi è arrivato a quaranta bottiglie. Un numero che non impressionerà il barman-medio continentale, ma che in Brasile è una rarità. Quando lo chiama la “Companhia Tradicional de Comercio”, realtà che detiene otto insegne nel settore dell’ospitalità tra cui l’Astor e il SubAstor, gli chiede di proporre “drink inglesi”. Non aveva nessuna idea di cosa intendessero per “drink inglesi”, ma ha cercato di ingegnarsi «Il mio consiglio per un ragazzo che si affaccia al nostro mondo? Non sederti, non spaventarti, respira. Conserva il tuo stupore fino a quando sarai vecchio. Per i prodotti, per i tools, ma soprattutto per i tuoi clienti».

Selezione naturale
Fabio è partito dalla selezione bottiglie: Calvados, Cognac, blended whisky (i single malt hanno poco mercato), Tequila, gin, rum, l’immancabile vodka. E la cachaça? «Per favore silenzio, noi al bar non la nominiamo neanche. Qui la giudicano come un prodotto di bassa qualità, da osteria. Ci sono 6mila distillerie nel Paese, la produzione non manca, ma il pubblico dei locali d’élite non ne vuole sentire. Basti dire che quando ordinano una Caipirinha si aspettano che sia preparata con vodka. Se sa di cachaça sono capaci di rimandartela indietro. Eppure questo figlio bistrattato della canna da zucchero ha delle qualità incredibili. Così ho deciso di camuffarlo mescolandolo con gin o Calvados e ha funzionato. In questo modo ho dribblato anche la frangia più esterofila della nostra clientela». In altre parole: ha interpretato un ballo in maschera.
D’altronde lui è italiano, precisamente di San Severo (Fg), e come tutti gli italiani (e i brasiliani) il Carnevale ce l’ha nel sangue. Nel 2003 La Pietra è nominato miglior bartender di San Paolo che, tradotto significa, del Brasile visto che la megalopoli paulista (11,32 milioni di abitanti) è il luogo di riferimento non solo per il business, ma anche per la vita notturna. È un traguardo raggiunto in pochi mesi, alla velocità della luce, insieme a numerosi riconoscimenti al suo lavoro e a quello della squadra per la drink list. Il suo barbatrucco è stato fondere le materie prime locali, un giacimento gastronomico senza pari e spesso misconosciuto dagli stessi brasiliani, con le lezioni di miscelazione apprese nel Vecchio Continente. Un match Brasile-Inghilterra dall’esito, a differenza del futebol, per nulla scontato. Nella sua carta, di sole venti specialità, incontriamo classici, rivisitazioni, originali.

Questioni di biodiversità
«Il Brasile - racconta La Pietra - ha una biodiversità senza paragoni. Ho deciso di mettermi all’opera per scoprire frutta e altre materie prime che si potessero combinare con gli spirits tradizionali. E più di una volta mi è capitato di imbattermi in ingredienti sconosciuti anche ai nativi di questa o quell’altra regione. Da questo punto di vista il Brasile rappresenta davvero un paradiso in terra». Nel menu spiccano combinazioni insolite di gusti come Ordem & Prosecco (Yaguara cachaça, Calvados Fine, agrumi, Prosecco, cedro del Libano); Cearà Vs 007 (Ketel One Vodka, Tanqueray Gin, anacardo, vermouth bianco, profumo di caju, frutto típico del Nord Est del Brasile da cui si ottiene l’anacardo); il Pain Killer preparato con due tagli di rum, arancia, ananas, cocco, bitter all’assenzio; Mistery Gardenia, un Daiquiri vellutato con ron cubano, lime e un mix di miele e burro fuso; Kentucky-tivo con Bourbon Whiskey, Amaro Lucano, Jerez e Ginger Beer. I drink sono proposti a 29 real (6,5 euro) e lo scontrino medio si aggira intorno ai 150 real (33,5 euro).
«Quando realizziamo i nostri signature cocktail seguiamo un percorso inverso. Prima degli ingredienti pensiamo alla storia che vorremo raccontare ai nostri ospiti. Partiamo dal “naming” della ricetta, poi passiamo alla narrazione, infine ci concentriamo sulle materie prime. I buoni risultati non mancano ma a sorpresa, la classifica dei più richiesti è guidata dagli italianissimi Negroni e Spritz. «Fino a tre anni fa - spiega Fabio La Pietra - nessuno chiedeva drink del genere, semplicemente perché il gusto amaricante dei nostri bitter non era ancora conosciuto e diffuso. Lo stesso discorso valeva per i vermouth. Poi c’è stata una vera esplosione. Ora prodotti come Martini, Campari, Cynar e gli amari tipici italiani sono tra i più richiesti».

Un grande bar show
Negli ultimi mesi Fabio, ospite questo mese alla seconda tappa di Baritalia 2016 a Bari, fa parte del team di esperti che guiderà il lancio di “Super Bar Professional Show” (vedi a pagina 52), il bar show in programma a San Paolo il 25 e il 26 aprile, organizzato da Editora Casa Nova, la nostra casa editrice in Sudamerica. Del gruppo di lavoro fanno parte grandi esperti locali come Moizes Barros, Marcio Silva, Cesar Adames, oltre alla sponda londinese Luca Cinalli. «Penso sia un’opportunità unica non solo per il Brasile, ma per tutto il bacino latino-americano. Il fenomeno dei cocktail è molto recente, ma si sta diffondendo rapidamente e a macchia d’olio in tutte le grandi città. Il problema è che finora mancava ancora un evento culturale e formativo per introdurre gli aspiranti barman in questo mondo. Super Bar Professional Show ha questo obiettivo ed è per questo che ho deciso di sostenerlo da subito. Fino a questo momento tutti i grandi gruppi presenti nel Paese hanno pensato solo a vendere bottiglie. Ora è arrivato il momento di raccontare cosa c’è dentro ogni prodotto. Ne beneficeranno tutti. Specie chi fa della qualità il suo punto di forza».

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