Le fiere di settore e i lanci di nuovi prodotti di numerose torrefazioni stanno portando in primo piano le monorigini. Un piccolo boom che coincide con l’espansione dei nuovi strumenti per l’estrazione del caffè, soprattutto a filtro. In realtà, più che una novità è un ritorno: alcuni baristi-pionieri provarono a offrire i caffè monorigine già 15-20 anni fa, ma senza successo e da allora solo pochi operatori hanno resistito garantendo un’offerta continuativa. Chi lo ha fatto oggi ne raccoglie i frutti, ma si tratta di pochi locali sparsi lungo la Penisola. Frattanto il mondo del fuori casa è diventato più sofisticato: il consumatore si è fatto curioso, attento e vuole vivere nuove esperienze di gusto. Il paradosso è che a risvegliare la sua attenzione non sono stati gli operatori, ma i colossi del settore che attraverso il lancio di cialde e capsule gli hanno fatto comprendere il caleidoscopio di aromi che fanno capo alla voce “caffè”. E che al bar si riducono alla “solita” miscela. I viaggi oltrefrontiera, soprattutto delle giovani generazioni, hanno fatto conoscere nuove preparazioni e, a completare il quadro c’è l’imminente arrivo in Italia di Starbucks, programmato per il 2017, nella sua versione specialty (ne abbiamo parlato sul numero di gennaio 2016 di Bargiornale). Grazie a processi di lavoro standardizzati di lavoro e alla capacità virale del suo marketing, Starbucks saprà senza dubbio smuovere le acque del fuori casa tricolore. Meglio, dunque, farsi trovare preparati.
Intanto facciamo un po’ di chiarezza. La monorigine è un caffè di cui si dichiara il Paese d’origine: un passo avanti rispetto alle confezioni “mute” della miscela italiana, ma, se vogliamo, molto generico. Basti pensare a una provenienza o origine come il Brasile: un Paese grande 30 volte l’Italia con una grande disparità di realtà produttive e di caratteristiche legate a esse. In questo caso, l’indicazione di un’area specifica di provenienza in etichetta permetterebbe di focalizzare meglio ciò che si sta andando a proporre al cliente.
Classificazioni e origini
Diversamente i caffè di piantagione fanno capo a una “fazenda”, dunque a una precisa zona e anche a un produttore che dà al prodotto una storia, un’identità precisa. Le classificazioni dei diversi Paesi produttori permettono di identificare i caffè speciali con una qualità superiore che sono spesso provvisti di certificazioni di qualità. Si arriva, infine, agli specialty (solo Arabica) definiti dalla Scaa - Specialty coffee association of America - in base a un preciso standard: sono tali i caffè che ottengono un punteggio da 80 a 100. Per lo più provengono da microlotti, sono alquanto costosi e proposti generalmente da piccole torrefazioni. Riassumendo abbiamo tre livelli di identificazione e provenienza: i caffè monorigine, i caffè di piantagione e gli specialty. La gamma d’offerta è, come si può immaginare, molto vasta e comprende una forbice di prezzi molto ampia. La caratteristica comune che deve emergere in una monorigine è la particolarità di gusti e aromi data dal mix di varietà, condizioni territoriali e climatiche da cui proviene. Si tratta di un caffè “differente”, che alla completezza e alla rotondità di una miscela tradizionale, che si può definire come un coro armonico, contrappone i pregi (ma anche i limiti) di una voce solista.
Gusti estremi e complessi
In un primo tempo sarà meglio non “scioccare” le papille della clientela con i gusti “estremi”, spesso agrumati, tipici di alcune specialty. La complessità del mondo delle singole origini deve sempre invitare a una riflessione: prima di affrontarle è opportuno documentarsi, fare corsi, gustare (e non solo farsi raccontare) cosa si troverà in tazza e come replicare quel risultato. In caso contrario, difficilmente la nuova offerta potrà avere successo. Come in ogni settore, c’è chi si muove con serietà e chi si limita a seguire le tendenze, offrendo caffè che magari giungono dal Paese o dalla zona dichiarata, ma che, a causa della bassa qualità della materia prima o della lavorazione, non danno i risultati promessi.
Il valore dell’esperienza
Ad esempio, alcuni caffè assaggiati in occasione di Host e di Sigep talvolta non hanno mantenuto le “promesse” organolettiche dichiarate sul pack a causa proprio della scarsa qualità della materia prima o di tostature troppo spinte. A questo proposito, è bene affidarsi a tostature più chiare per i metodi a filtro in cui il contatto con la polvere di caffè è prolungato, o all’esperienza di chi le sa lavorare rendendole idonee a entrambi i metodi. Perché, dunque, tanta attenzione? Perché le monorigini non si vendono da sole, ma richiedono impegno da parte del barista nel promuoverle e spiegarle. E se lui per primo non ne è convinto o non le conosce a fondo, ecco che in breve l’effetto novità viene meno e con esso l’interesse verso il prodotto.
Per iniziare l’offerta può prendere il via con una o due referenze da affiancare alla miscela e cambiare almeno ogni mese per tenere viva l’attenzione del cliente. Le confezioni più indicate sono quelle piccole da 250, al massimo 500 g; meglio evitare il chilo se non si ha la certezza di venderlo in pochi giorni. La macinatura è da affidare a piccoli grinder professionali on demand, per avere un macinato fresco e non disperdere gli aromi. Lavagne e volantini nei pressi della cassa e al banco sono preziosissimi perché permettono di ricordare alla clientela la presenza delle singole origini. Nei momenti frenetici della prima colazione ci penseranno infatti le informazioni scritte a raccontare il prodotto; nelle ore più tranquille lo staff si potrà invece dedicare alla loro descrizione. A livello informativo, un consiglio: meglio prevedere poche informazioni chiare che riguardano l’orgine del caffè, cosa lo rende particolare e cosa ricercare in tazza.
Contenuti troppo tecnici o sofisticati possono allontanare chi vuole gustare una buona tazza senza dover per forza risolvere rebus o rompicapi; gli approfondimenti potranno arrivare in un secondo tempo. Servendo la tazza al cliente si può anche porre sul piattino un foglietto con alcune note informative. A questo punto è chiaro che se un locale ha introdotto degli strumenti per metodi di estrazione alternativi del caffè questi devono entrare in gioco ed essere presentati alla clientela. In un primo tempo sarà opportuno fare delle promozioni, ad esempio con estrazioni con il V60 da offrire in assaggio gratuito e spiegando le peculiarità di preparazioni profumate, aromatiche meno intense ma ugualmente piacevoli (indicate soprattutto per la fascia pomeridiana).
Preparazioni filtro
Le richieste del mattino si possono soddisfare con sistemi come il french press o il teapot in cui versare il macinato (la media è di 60 g/litro), dando il “compito” al cliente di premere lo stantuffo o il bottoncino dopo un paio di minuti, completando in questo modo l’estrazione. Se i quantitativi erogati dovessero crescere, meglio puntare su macchine per la preparazione di caffè filtro. Ovviamente senza mai dimenticare, la “vecchia” cara miscela.
Leggi su Bargiornale di maggio le testimonianze dei protagonisti
Pur trovando molto utili i consigli , noi piccoli torrefattori che già da qualche tempo proponiamo alcuni caffè monorigine e di piantagione riusciamo a coinvolgere il cliente finale solo direttamente mentre la scarsa professionalità del barista non lascia spazio alla promozione di una benché minima cultura del caffè .