Lo citava Jerry Thomas nel Peach and Honey (1862) e David Embury nell’Honey Bee (1948). Ha fatto pure una rivoluzione, la prima di Cuba, e alla fine si è perso. Noi lo abbiamo riscoperto in Calabria
Le Città del Miele, associazione che riunisce i territori di origine delle tante identità dei mieli italiani, ha organizzato a Soverato (Cz) la seconda edizione di “Il miele in cucina”, sfida riservata agli istituti alberghieri. Gli studenti si sono confrontati su piatti e cocktail aromatizzati col miele. Nel Pitagora Drink il miele di bergamotto ha diviso la doppia coppa con vodka al peperoncino, succo di mapo, cordiale al sambuco. Il miele di castagno è stato invece coprotagonista del vittorioso Honey Spritz, un'interpretazione dell'aperitivo veneto preparata con vodka Due Merlot, Grand Marnier, Aperol, Schweppes tonic e gocce di Angostura Bitters. A prescindere dal valore delle miscele, è da apprezzare il tentativo di un gruppo di allievi (e di maestri) di lavorare sulle mille sfumature del miele. La “mieloteca” italiana infatti può contare su un numero impressionante di varietà. Parliamo di circa sessanta specialità che vanno dalla comune acacia, passando per lavanda, mandorlo, nespolo, marasca del Carso e giù fino alla stregonia siciliana. Una collezione di mieli che non ha eguali al mondo. Nonostante il ricco patrimonio l'utilizzo del miele nei cocktail, a differenza di quello che succede in cucina, è residuale. Per dolcificare si usano comunemente zucchero liquido, sciroppi aromatizzati, liquori dolci o il tanto di moda nettare d'agave, quello del Tommy's Margarita per intenderci. Il miele resta tabù. Poco pratico, dicono che si appiccichi come Vinavil alle mani o, per usare una metafora marittima, che si aggrappi allo shaker come una cozza al suo scoglio. Ma, statene certi, se usato correttamente può dare grandi soddisfazioni. Direi di più, in molti cocktail di tradizione esotica è la vera arma segreta. Pare che la prima versione del Navy Grog, ai tempi di pirati, era un miscelato di rum, acqua, limone, cannella, miele o melasse che veniva servito sia in versione fredda che calda. Non c'è traccia invece di miele nella versione di Donn Beach (1942), padre della tradizione esotica, ma il comune millefiori è presente in molti altri miscelati d'ispirazione polinesiana nati negli anni Trenta, dal Don's Special Daiquiri al Missionary's Downfall. Volendo spaccare il capello non si tratta di miele al 100%, ma di honey mix, honey syrup o spiced honey syrup. In altre parole di miele miscelato con acqua, zucchero liquido o zucchero aromatizzato con spezie e fiori.
Non è di primo pelo
I cocktail col miele sono tra i più antichi. Il pioniere Jerry Thomas nel suo “How to mix drinks, or the Bon Vivant's Companion” del 1862 cita il drink caldo Locomotive e il fresco Peach and Honey: tumbler piccolo, 1 cucchiaio di miele, 1 calice di brandy alla pesca. Leader internazionale della miscelazione è il miele d'acacia, dal gusto delicato e senza picchi eccessivi, capace di mantenersi liquido mentre altri cristallizzano. Non a caso è indicato per due tra i più famosi cocktail a base di miele. Il più noto è l'Honey Bee, un rum cocktail raccontato in “The Fine Art of Mixing Drinks” nel 1948 da David Embury. In pratica si tratta di un Daiquiri. Solo che ha il cuore più tenero di quello originale e soprattutto non ha avuto la stessa popolarità.
L'antenato del Daiquiri era con “miele”
Prima ancora del Daiquiri nell'Isla Grande c'era una bevanda con miele che può essere considerata, a giusto titolo, l'antenata. Il pensiero va alla Canchánchara, una miscela di rum, succo di lime e “miele” ma, e qui c'è un ma, miele era anche lo stesso termine utilizzato a Cuba per chiamare le melasse. Comunque sia il drink diventò un simbolo della guerra tra gli Stati Uniti d'America e la Spagna per l'indipendenza cubana (1898). Alcune fonti narrano che fu il cocktail di benvenuto con cui i cubani accolsero le truppe americane, stanche e assetate dal caldo e dalle pesanti divise invernali, del Generale William R. Shafter. Il Canchánchara veniva prodotto in grosse quantità e poi travasato in bottiglia. I combattenti cubani lo tenevano legato alla sella per darsi la carica al momento giusto, ma lo utilizzavano anche come antidolorifico per i loro feriti. Oggi esiste un monumento dedicato a quel drink: lo trovate a La Taberna la Canchánchara di Trinidad (Cuba).