Abbiamo spedito Daniele Dalla Pola, bandiera della cultura tiki in Italia, a New
Orleans a intervistare il pioniere della miscelazione esotica, Jeff Beachbum Berry.
Se proprio vogliamo fare una classifica delle persone più influenti nel campo della mixability esotica, tra i primi posti figura, a detta anche degli osservatori più critici, un signore in camicia hawaiana e cappello di paglia che risponde al nome di Jeff Beachbum Berry. Una vera e propria leggenda vivente per chi se ne intende. Lo abbiamo incontrato al banco del suo Latitude 29 di New Orleans.
Cosa ti ha spinto a lanciarti in questa nuova avventura?
Dopo sei libri, ne avevo abbastanza di scrivere. Non avevo più nulla da aggiungere sui drink esotici o tropicali. Era arrivato il momento di smettere di scrivere sul mondo dei cocktail e iniziare finalmente a servirli. New Orleans era il posto ovvio per aprire un bar alla Jeff “Beachbum” Berry, perché è lì che è scoppiato l’amore: ogni anno dal 2005, io e la “signora Beachbum”, mia moglie Annene, siamo infatti sempre venuti qui in occasione dell’evento Tales Of The Cocktail e, ogni anno, abbiamo incontrato sempre più persone e professionisti che ci chiedevano di aprire qui un locale.
E i clienti? Cosa funziona bene per loro?
Chi vive a New Orleans va spesso fuori a mangiare e a bere, anche se non può permetterselo. In qualche modo trovano il modo di farlo. E, dunque, amo l’entusiasmo che esiste in questa città per la vita notturna. Devo dire che prima di arrivare all’apertura del locale ho dedicato molto tempo alla preparazione di una lista di “rum da sorseggiare” solo per scoprire che alla fine i nostri ospiti non erano realmente interessati ai distillati da degustare “straight”. Quello che vogliono sono i cocktail. Il che, ovviamente, ci sta molto bene!
Chi è l’architetto del locale?
Il mio amico Bosko Hrnjak che conosco dall’inizio degli anni ’90. Praticamente da solo ha rilanciato l’arte perduta dell’intaglio dei tiki e ora ha progettato il Latitude 29. Anche i miei amici Danny “Tiki Diablo” Gallardo e Dave “Basement Kahuna” Wolfe hanno creato per il locale delle splendide opere d’arte tiki.
Cosa hai imparato dalla tua esperienza di “tiki world ambassador”?
Seneca una volta ha detto: “Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere”. Ho imparato di più su come essere una persona migliore in questi pochi anni di percorso tiki che in decenni della mia vita precedente. E i miei maestri sono i bartender. In Europa, Asia, Sud e Nord America, ovunque io vada, incontro bartender a cui piace rendere la gente felice. Mi hanno insegnato come essere una persona più consapevole, un ascoltatore migliore, un buon ospite.
Qual è il primo drink esotico che hai provato e quale fu la tua reazione?
Arrivato all’età giusta per bere, ho iniziato con i drink tiki, che erano gli unici a interessarmi. Non mi sono mai piaciuti altri tipi di cocktail. Erano gli anni ’80 a Los Angeles e un buon cocktail era difficile da trovare, tranne che in un bar tiki della vecchia scuola. Non ne avevo mai abbastanza di quel sapore misterioso. Il primo che ho bevuto deve essere stato il Ray’s Mistake, al Tiki-Ti in East Hollywood. Trent’anni dopo non riesco ancora capire cosa c’era in quel drink.
Cosa ne pensi del boom del tiki?
Non me lo sarei mai aspettato e non potrei essere più felice. Pensavo di essere l’unica persona al mondo interessata a queste cose. Incredibile che sia successo e proprio nella mia epoca.
Quale è il tuo messaggio sul tiki per un giovane bartender?
Trovo che oggi molte delle ricette di cocktail che si trovano sulle riviste di settore sono scritte da bartender per bartender: tre o quattro diversi tipi di amaro, otto tipi diversi di bitter eccetera. Negli anni ’30-’70 Don The Beachcomber e Trader Vic preparavano drink “per le persone”. Le cose devono aver un buon sapore, non solo un nome di grande effetto sulla pagina di un menu.
Parlaci della tua lista di drink al Latitude 29.
Il menu dei nostri cocktail abbraccia l’intero arco di storia di 80 anni di drink tiki, dalle ricette vintage che ho scovato - alcune che non avevo mai pubblicato e che hanno avuto la loro première mondiale proprio al Latitude 29 - alla mie ricette originali.
Prima dell’inaugurazione ho passato un anno intero a perfezionare il menu dei drink. C’erano 300 drink della vecchia scuola che avrei potuto proporre e servire, ma ho dovuto ridurli a 30: non volevo sconvolgere il nostro staff o sfinire i nostri ospiti con troppe scelte. Poi, nel 2014, ho capito che non potevo più servire solo i classici. Se avessi aperto nel 2009, avrei proposto volentieri un menu completo di drink creati esclusivamente dal famoso pioniere Don The Beachcomber. Tutte ricette che avevo scovato personalmente. Ma quando abbiamo aperto, quei drink venivano già serviti nei nuovi bar tiiki che li avevano presi dai miei libri. Quindi mi sono reso conto che dovevo inserire anche le mie ricette originali di matrice tiki per fare del Latitude 29 una meta unica, differente da qualsiasi altro bar revival Tiki. Quindi il menu finale dell’apertura era composto per il 60% dai classici e per il 40% da quelli originali. Sono felice di poter dire che entrambe le categorie hanno riscosso e continuano a riscuotere consensi.
Bargiornale e i suoi lettori ti aspettano in Italia. Ti vedremo presto?
L’edizione italiana di “Potions of the Caribbean” sarà pubblicata in Italia a primavera del 2017, quindi spero di venire e di fare qualche autografo sul libro e – cosa più importante – di bere al Nu Lounge di Bologna, al Jerry Thomas Speakeasy di Roma e al Nottingham Forest di Milano, e in tutti gli altri grandi bar italiani!