Via quella polverosa visione del bar d'albergo come luogo inaccessibile e impostato. Benvenuta invece la nuova dimensione: il The Court, all'interno di Palazzo Manfredi, è stato premiato come bar d'albergo dell'anno, ed è un fondamentale punto di riferimento per la miscelazione di Roma, che all'accoglienza di lusso di un cinque stelle abbina un'atmosfera fresca e contemporanea. La firma è di Matteo "Zed" Zamberlan, 46enne rientrato nella sua città due anni fa, dopo un pellegrinaggio di successo che lo aveva portato a Tokyo, alla corte del maestro Hidetsugu Ueno, e a New York, come consulente beverage del Giorgio Armani Restaurant sulla 5th Avenue, oltre a mietere premi e riconoscimenti personali. Studioso e massimo esperto di amari, è autore di The Big Book of Amaro, uno dei testi più apprezzati e riconosciuti del settore, tra i primi dieci titoli segnalati da Tales of the Cocktail 2020.
Il lavoro di Zed ha permesso una svolta all’evoluzione dell'hotel bar a Roma, e in tutto il paese. «Si potrebbe parlare di non evoluzione, in realtà. Appena tornato in Italia ho notato che non era cambiato nulla. Per questo ho impostato un bar d'albergo sullo stile anglosassone, che mantiene l'eleganza del servizio, l'utilizzo di prodotti super premium, i dettagli di un'icona del lusso, rendendola però casual. Non volevo impaurire i consumatori, volevo distaccarmi dall'identità dell'albergo: ho creato un bar che ha una sua personalità, a sé stante. Ho sdoganato il bar d'albergo in Italia, dimostrando come sia possibile far convivere lusso e approcciabilità. E non era mai stato possibile prima: all’estero i cinque stelle sono in realtà le prime mete da visitare per bere bene, qui invece si rimane legati a un’idea di estremo, inarrivabile, che non fa bene al movimento».
La chiave per il successo è il rapporto con proprietà e team. «Ho molta autonomia. Significa avere libertà, ma anche dover rispettare la fiducia che mi viene data, e credo sia in realtà il risultato di anni di ottimo lavoro». La nuova visione del bar d’albergo potrebbe portare nuovi professionisti ad approcciare questa dimensione: cosa serve per avere successo in una realtà così particolare? «Avercelo dentro, almeno in parte. Ci sono caratteri che non sono disposti a indossare giacca e cravatta, io sono cresciuto nel mito di mio padre che era uno degli ultimi grandi concierge di alberghi di lusso. E poi serve coltivare spirito di squadra, un albergo è come un piccolo esercito, ci sono gerarchie, regole. L’approccio è fondamentale, anche: va bene essere alternativi, ma l’eleganza non può mai mancare».