Speakeasy, il fascino discreto del clandestino

Revival –

Divenuti famosi in tutto il mondo grazie alle gangster story anni ’30, negli Usa i bar segreti detti speakeasy sono tornati di moda. Governati da bartender di fama, sono affollati di giovani e di appassionati della mixability

L’era del Proibizionismo, che iniziò nel gennaio 1920 e terminò nel dicembre 1933, fu il periodo più terribile per la mixability dell’intera storia americana. Basti pensare che metà dei liquori era fatta in casa o in distillerie clandestine. Realizzati in genere con ingredienti di (molto) dubbia qualità, potevano in certi casi portare direttamente al Creatore. Nel 1926, durante le feste di fine anno, si registrarono ben 47 decessi di persone per cause legate al consumo di liquori o distillati provenienti da distillerie clandestine. Fatto sta che il beverage di qualità se ne andò all’estero, assieme a diversi bartender professionisti, che si trasferirono negli american bar all’Avana, a Parigi e a Londra. Negli Usa, invece, insieme alle distillerie clandestine fiorirono anche i bar clandestini, chiamati “speakeasy”: per gestirne uno bastava “tenersi buono” il poliziotto di quartiere e per entrare c’era sempre bisogno di parole d’ordine o di lasciapassare.

A New York lo spioncino è di rigore
Ora tornano di gran moda in tutti gli Usa, anche se nessuno dei nuovi “speakeasy” assomiglia in tutto e per tutto a quelli del passato. Qualche esempio? Il Varnish a Los Angeles, il Bourbon & Branch a San Francisco, lo Speakeasy a Cleveland, il Violet Hour a Chicago o il Manifesto a Kansas City. Ma è a New York che la passione per i bar clandestini è più vivace. Il settimanale New York ha definito Back Room (al 102 di Norfolk Street, nell’East Village) il “miglior bar segreto” della metropoli. All’ingresso il classico spioncino per scrutare i clienti in arrivo e all’interno una libreria mobile nasconde o svela lo spazio bar. Tra gli investitori ci sarebbe anche l’attore Tim Robbins (si dice l’abbiano visto lì a fare il bartender). I drink sono serviti in tazze da tè per “ingannare i tori” (così erano chiamati i poliziotti nel film dei gangster degli anni Trenta). A Williamsburg, quartiere di Brooklyn pieno di giovani, ce ne sono diversi. Il Rye, al 247 South della 1st Street, è un nuovo bar-ristorante senza insegna. La facciata, un insieme di vecchi steccati di legno, gli conferisce un aspetto da casa abbandonata. Il numero civico è disegnato su un pannello di vetro, sopra la porta. Servono un rye old-fashioned con bitter d’arancia, angostura e zucchero di canna Demerara, e un cocktail al tequila, “migliorato” con maraschino, bitter e un tocco di assenzio. Nella stessa zona c’è il bar dell’hotel Delmano, lungo banco di marmo e grandi banquette di pelle. All’Hideout di Fort Greene, ancora a Brooklyn, i clienti devono suonare un campanello alla porta di un garage, e poi aspettare di essere selezionati attraverso uno spioncino anni Venti. La mixologist Charlotte Voisey, consulente del newyorkese Gramercy Park Hotel e del Dorchester di Londra, ha aiutato a creare una carta cocktail di ben sei pagine.
Sasha Petraske, mixologist di Milk&Honey e noto imprenditore del settore, ha aperto il Dutch Kills (dalle 17 alle 2 di notte) a Long Island City, nel Queens. Al Pdt (Please don’t tell), al 113 di St. Marks Place, nell’East Village, a Manhattan, si entra in un negozietto di hot dog, il Crif Dogs, poi si passa in una cabina telefonica e ci si presenta al telefono. Un cicalino apre una porta segreta. C’è una lista di birre e vini e si possono anche ordinare burger e hot dog. Il mixologist Jim Meehan offre creazioni stagionali come un Old Fashioned con bourbon infuso al bacon e sciroppo d’acero oltre ad altre infusioni, come il rum al popcorn. The Raines Law Room, a Chelsea (48 West 17th St., niente telefono) propone un’austera lista cocktail, con classici come Manhattan e Negroni. Il suo nome allude alla legge Raines, approvata dallo Stato di New York nel 1896, che proibiva la vendita di liquori la domenica, eccetto che negli hotel, dove i drink potevano essere serviti durante i pasti. Così accadeva che centinaia di bar sistemavano letti e sedie nelle camere al piano superiore e si definivano alberghi per sfuggire ai controlli.
Allo Speakeasy di Cleveland, l’operazione nostalgia è ancora più accentuata, al punto che i titolari distillano in proprio il loro gin. Un lampadario fa luce su una scala che porta a uno scantinato. «Quando è illuminato - informa il proprietario, Sam McNulty - significa che lo Speakeasy è aperto». Proprio come ai tempi del Proibizionismo.

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