Nonostante le visite serali aumentino, l’incidenza degli alcolici si riduce soprattutto durante l’aperitivo e la cena. Non rimane che puntare sul dopo cena con proposte ad hoc e un servizio impeccabile
Sarà un effetto della generalizzata riduzione della spesa oppure il risultato delle campagne antialcol e delle sanzioni a chi guida in stato di ebbrezza, ma negli ultimi tempi i consumi di alcolici si stanno riducendo sensibilmente. Secondo l’Osservatorio di Bargiornale, curato da Npd Crest, (dati aggiornati allo scorso giugno) che riunisce insieme vino, birra e superalcolici, lisci o mixati, il totale delle visite che contemplano questo tipo di consumazione è calato del 10% su base annua. Due terzi degli acquisti si concentra nella fascia serale, che comprende aperitivo, cena e after dinner. Tuttavia, anche in questa fascia oraria si riscontrano i primi segnali di debolezza, in particolare per quanto riguarda i momenti dell’aperitivo e la cena: le uscite serali degli italiani sono aumentate nell’ultimo anno dello 0,7%, contestualmente si è ridotta del 2,9% l’incidenza degli alcolici sui consumi.
Spiega Matteo Figura, Foodservice manager di Npd, commentando i dati: «È chiara la tendenza, di chi continua a uscire la sera, di rinunciare almeno parzialmente alle bevande alcoliche. Questo anche perché si tende sempre ad abbinare l’uscita serale al consumo di cibo, che sia aperitivo, cena o spuntino serale. In abbinamento al food si scelgono quindi bevande più soft, anche soft drink». Se c’è quindi un’opportunità di crescita o di diversificazione della proposta dei superalcolici, questa risiede soprattutto nell’after dinner, in un orario in cui il cibo non è più presente.
Un’offerta su misura
Appurata la fascia oraria in cui il consumatore è più sensibile al fascino del distillato, del liquore o del cocktail, che cosa può proporre il bartender per stimolare i suoi clienti? «Bisogna innanzi tutto distinguere dove si svolge il dopocena - osserva Oscar Cavallera, direttore della Bar University -, perché in base al luogo cambia per forza di cose anche l’offerta». In un locale con musica, dove si balla e c’è movimento, il prodotto trainante saranno i long drink, miscelati, veloci da preparare, e anche i cocktail, il cui consumo tende ad allargarsi anche all’aperitivo e nel daytime. Domina la vodka (richiestissimo per esempio il Vodka Tonic) e assistiamo a un ritorno del gin, con una tenuta del rum. Le richieste più frequenti sono quelle classiche, apprezzate anche da un pubblico più giovane che tende a frequentare maggiormente questo tipo di locale. Quindi si va dal Gin Tonic al Cuba libre, senza escludere il Mojito, consumato sempre di più come aperitivo, la Caipirinha e tutte le variazioni sul tema». Cambia il discorso se ci troviamo in un ambiente raccolto, intimo o conviviale, come un ristorante, un lounge bar o il bar di un hotel di categoria. «In questo caso - dice ancora Cavallera - prevalgno gli shorter, e in particolare i Cognac, gli Armagnac, i whisky, senza dimenticare le italianissime grappe». La tendenza più recente è una ricerca di liquori aromatici, profumi speziati, legati magari a invecchiamenti particolari in botti che hanno ospitato altri distillati. I distillatori, cercano nuove soluzioni, di nicchia, che hanno finito per conquistare il pubblico. Lo vediamo dal proliferare di grappe ambrate, frutto di lunghi invecchiamenti in legno, o di whisky blended, che ricorrono non soltanto nella tipica produzione di stampo britannico, ma anche nei bourbon americani. «Di sicuro - osserva ancora Cavallera - non ci si accontenta più del classico whisky invecchiato 12 anni, ma si cerca il prodotto particolare e il gestore deve essere in grado di cogliere questa tendenza».
Che cosa accade invece nell’ampia fascia di prodotto dei liquori e degli amari? «Le donne - dice Cavallera - che ancora stentano ad avvicinarsi al mondo dei distillati contrariamente a quanto avviene in molti altri Paesi, continuano a orientare la loro scelta di superalcolici in questa categoria, secondo schemi abbastanza tradizionali: dal limoncello alla sambuca, la scelta cade su prodotti che non vanno oltre il 20% di volume di alcol». Per gli amari si riscontra ormai la diffusione di un’abitudine importata dall’estero, cioè il consumo del prodotto ghiacciato. «Ormai si consuma tutto con ghiaccio - dice Cavallera - perfino lo Champagne. Ma soprattutto ricorre la tendenza in Italia a importare dopo un po’ di tempo le abitudini di consumo che si affermano all’estero, per esempio in Russia o in Gran Bretagna. L’amaro ghiacciato si vedeva già negli Stati Uniti una decina di anni fa. Ora questi prodotti all’estero si consumano molto mixati, come per esempio il Fernet e Coca che spopola in Russia o lo Jägermeister e tonic. Non ci sarebbe da stupirsi se, prima o poi, queste abitudini di consumo arrivassero anche qui da noi».