All’Harry Denton’s Starlight Room di San Francisco sotto ai lustrini c’è tanta sostanza: la drink list è un viaggio nel tempo legato ai cocktail
Si è guadagnato l’appellativo di re della vita notturna di San Francisco: il 67enne Harry Denton è da oltre 15 anni l’anima dello Starlight Room, scenografico night club con vista panoramica a 360 gradi sulla città che occupa il 21mo piano dell’hotel Sir Francis Drake. Pochi possono vantare un locale che porta il proprio nome: il night, votato dai lettori del quotidiano San Francisco Cronicle come il migliore della città, si chiama infatti Harry Denton’s Starlight Room. Un riconoscimento guadagnato sul campo, in 35 anni di attività. Curioso il suo approccio alla professione, non proprio quello che si dice “politicamente corretto”: «Fui licenziato da un negozio d’abbigliamento perché mi ubriacavo e non andavo a lavorare. Un amico, il grande Norman Hobday (meglio noto come Henry Africa, ndr), mi chiese di seguirlo. Mi disse: “Vieni a lavorare per me e t’insegnerò il business del bar”. Accettai e non ho più lasciato quell’ambiente». Denton ha imparato bene la lezione: nell’86 aprì il suo Harry’s Bar, negli anni successivi è stato proprietario di quattro ristoranti-nightclub, finché nel ’95 nasce il sodalizio con William Kimpton, patron dell’omonima catena alberghiera. Per rilanciare l’Hotel Sir Francis Drake, Kimpton decide di rivitalizzare anche lo Starlight Room all’ultimo piano, una vecchia gloria fondata nel 1928, rendendolo il più elegante night della città. E chiama a dirigerlo Herry Denton, che da allora è un eccellente padrone di casa.
Il locale è in pieno stile anni Quaranta, ispirato dalla grandeur del parigino Maxim e da un teatro d’opera di Vienna. Recentemente è stato rimesso a nuovo grazie a un restauro affidato a Dawson Designs, costato 1,5 milioni di dollari: sono stati aggiunti nuovi separé con banquette in velluto cremisi, tappeti Axminster dall’Inghilterra, e ancora più cristalli, tappezzerie in damasco Scalamandre, drappeggi dorati in seta e una pista da ballo in vetro “black terrazzo”.
La sobrietà non abita qui: non nell’ambiente, davvero sfarzoso, e nemmeno nei dettagli, anch’essi ispirati a una grande opulenza: «All’entrata del locale - afferma orgoglioso Denton - ammirate un gran vaso con sei dozzine di rose rosse ecuadoriane dallo stelo lungo e un pianoforte a coda. Non ci crederete, ma ricevo più commenti per quelle rose che per l’incredibile vista sulla città».
Cocktail fuori ordinanza
Oltre a (tanti) lustrini e paillette, la Starlight Room offre anche molta sostanza, specie in tema di bere miscelato. Merita di essere raccontata la lista dei cocktail ideata dal bar manager, Joel Teitelbaum: un’offerta ristretta - appena 28 drink - che è un concentrato di storia della mixability suddivisa in varie ere, raccontate citando famosi personaggi del bar americano e offrendo esempi del loro lavoro.
Si parte con la sezione “Gli inizi-Punch”, che presenta il “mixed drink originale” e i cicchetti dei marinai del ’600. Ne fanno parte i tre drink più costosi della lista (45 dollari): il Seasonal Punch, con gin a mela e cannella, calvados, limone, miele e Allspice Dram; lo Starlight Punch, con gin, liquore di lampone e camomilla, limone e champagne; il Pisco Punch, con pisco, sciroppo d’ananas, limone, lime e bitter di absinthe.
Gli anni di Jerry Thomas (i ’60 dell’Ottocento), rimandano al leggendario barman che preparava cocktail oggi riscoperti, come il Pisco Crusta (12 dollari), mix di brandy pisco Encanto, tè di lychee rosso e lime. In rappresentanza degli anni del Proibizionismo Teitelbaum propone l’Humos Locos (13 dollari), con mezcal Vida, Chartreuse verde infusa con jalapeño, lime e agave, la sua versione di quello che un emigrato bartender poteva sognare in quegli anni: «Ce n’erano tanti, qui negli Usa, che non trovavano lavoro; così andavano a Cuba, in Sudamerica o in Europa».
Segue il periodo d’oro del Martini, gli anni ’50, col classico 50/50 Martini, gin e dry vermouth in parti eguali. Poi i “tempi bui”, gli anni ’80, con il declino della professionalità e la diffusione dell’uso di aromi artificiali.
La sezione Inizio del revival (gli anni ’90) riconosce bartender visionari come Dale DeGroff, Tony Abou-Ganim e Gary Regan, tra i primi a portare alla ribalta succhi freschi oltre a cordiali e liquori invecchiati di qualità, dando così inizio al rinascimento del cocktail americano: «Sono i mixologist che ci hanno rimesso sul binario giusto» sostiene Teitelbaum; ne fanno parte il Brazilian Burrow (13 dollari), con cachaça Leblon, Velvet Falernum e liquore St. Germain e il Colorado vs. Hunter S. Thompson (12 dollari), remake moderno di un classico dell’epoca, il Cosmopolitan, realizzato con vodka Ketel One, orange curaçao, cordiale d’ibisco fatto in casa, limone e seltzer. La lista arriva ai nostri giorni, noti per l’esplorazione di tinture, infusioni e mixology molecolare: nell’High Flyer ci sono absinthe Kubler, limone, cordiale d’ibisco Bundaberg e soda di pesca.
«I nostri clienti sono sempre interessati quando gli parliamo della nostra lista dei cocktail - spiega Teitelbaum -. Raccontargliela li incoraggia ad aver fiducia nella persona che sta dietro al bar. E va a finire che poi vogliono provare i nostri drink».