Fenomeno coffee shop

Tendenze –

Tra catene e indipendenti sono oltre 15mila le caffetterie nel Regno Unito: un mercato che cresce nonostante la crisi. Atteso lo sbarco di 400 coffee shop firmati Lavazza

Chi avrebbe mai immaginato che i britannici fossero un popolo “schiavo” della caffeina? E, invece, sembrerebbe proprio di sì. I nostri amici d'oltremanica non riescono a svegliarsi alla mattina senza l'aroma di un buon caffè. Ovviamente, preso non tra le mura di casa, ma nelle 15.723 caffetterie che punteggiano il Regno Unito. Un mercato che solo nel 2012 è cresciuto del 7,5%, raggiungendo un giro d'affari di tutto rispetto pari a 5,8 miliardi di sterline. E non è finita. Gli esperti di Allegra Strategies che ogni anno redigono un rapporto molto approfondito sui trend del mercato (“Project Café12 Uk”) prevedono l'apertura di almeno altri 5mila esercizi entro il 2017. A fare la parte del leone sono le catene come Costa, Starbucks, Caffé Nero che da sole presidiano il territorio con oltre 5mila caffetterie e vendite che l'anno scorso hanno contabilizzato ricavi per 2,3 miliardi di sterline (+10% rispetto al 2011). A crescere, sull'onda di quella che sta diventando una vera “coffeemania” (un consumatore inglese su 5 visita quotidianamente un coffee shop, nel 2009 erano uno su 9), sono anche gli indipendenti e le insegne non specializzate (come Pret A Manger, Eat ecc.): in tutto circa 10mila esercizi che hanno lavorato molto, al pari delle catene, sul marketing esperienziale. «Il successo degli operatori indipendenti - commenta Jeffrey Young, managing director di Allegra Strategies - sta non solo trainando la domanda, ma anche focalizzando tutto il settore, grandi insegne comprese, sui valori più autentici della cultura del caffè. Non solo in termini di varietà e specialità, ma anche di professionalità degli addetti». E la professione di “barista”, termine che in Inghilterra identifica lo specialista che prepara in tempi record espressi, cappuccini, cioccolate e ogni sorta di variazione sul tema, è diventata una delle carriere più ambite. Questo fermento intorno al caffè all'italiana ha invogliato un big tricolore come Lavazza che, come ha riportato recentemente il Daily Telegraph, intende aprire oltremanica 400 caffetterie con il proprio brand entro i prossimi 10 anni. D'altronde, segnalano gli esperti, sta aumentando la fascia di consumatori gourmet che sanno tutto di origini, miscele, lavorazioni ecc. e che stanno orientando parte dell'offerta a essere sempre più esclusiva. Un'opportunità per gli indipendenti che si stanno orientando nella fascia “upscale” del mercato, anche per differenziarsi dai menù “mass market” delle catene. Ma come si spiega l'exploit di un mercato che cresce a un tasso 7 volte superiore a quello dell'economia nazionale?

L'effetto rilassante della caffetteria

C'è chi inquadra la performance all'interno di uno scenario recessivo dove i consumatori sono obbligati a cambiare i loro comportamenti d'acquisto, orientandosi al low cost: invece di pranzare al bistrot o al ristorante vanno in caffetteria. Ciò potrebbe essere vero se i prezzi delle bevande fossero popolari. Non è così. Un cappuccino arriva tranquillamemte a costare più di 2,5 sterline, pari a uno scontrino di oltre 3 euro. Un'altra spiegazione è legata alle dinamiche del fuori casa nel Regno Unito dove, secondo gli ultimi dati del movimento “Campaign for Real Ale”, chiudono i battenti ogni settimana circa 18 locali tra pub e birrerie. Un fenomeno che sta mutando la fisionomia dei centri urbani delle cittadine inglesi e che è frutto, secondo diversi analisti, non solo della concorrenza di grandi gruppi birrari che aprono locali dove le bevande alcoliche costano meno, ma anche di nuove abitudini. L'alcol si tende sempre più a consumarlo fra le mura di casa e quando si esce, la scelta di dove andare cade una volta su tre su una catena di coffee shop. Anche perché a differenza dei modelli francesi e italiani, gli inglesi non penserebbero mai di prendere un caffè al pub e, per contro, l'alcol è assolutamente bandito dalle caffetterie. Altre ragioni attingono al vissuto dei consumatori inglesi, amanti di spazi che sembrano pensati prima di tutto per la socialità, e alla ricerca di valori con la “v” maiuscola che sembrano ormai complementari al mondo del caffè “made in UK”: come l'utilizzo di miscele eticamente corrette, la creazione di filiere trasparenti o l'impegno in attività benefiche. Valori incarnati soprattutto dalle caffetterie indipendenti. E proprio il mese scorso è scoppiato quasi uno scandalo quando alcuni clienti di Harris+Hoole, caffetterie di vicinato dall'immagine alternativa, hanno scoperto che Tesco, colosso della grande distribuzione, è socio al 49% della piccola catena di prossimità. Una reazione forse sproporzionata, ma che la dice lunga su quanta importanza riveste oggi per gli inglesi la famosa tazzina.

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