Dal Mojito Lab di Parigi al Library Bar del Leela di Nuova Delhi. Un’analisi del nuovo concept, a metà strada tra locale e vetrina, destinato a un successo globale
Hugh Hefner, il fondatore di Playboy e del grande impero delle conigliette, gli ha dato carta bianca. Già lo vedo il sorriso malizioso, quindi mi spiego meglio. Hefner gli ha detto: “Salvatore questo è il tuo locale, fai tu”. E Salvatore Calabrese, “The Maestro” del cocktail, ha colto la palla al balzo. Ora la sua vasta collezione di bottiglie d’epoca, nota ai vip che hanno frequentato i suoi locali col nome di Liquid History, è alloggiata in una teca imponente all’interno del club Salvatore at Playboy di Mayfair a Londra. La vedete alla vostra sinistra.
Niente sfarzi, nessuna luce sparata. Si staglia come un prezioso elemento d’arredo, un totem che diventa biglietto da visita per il locale. In quel totem il pubblico può leggere senza sforzi: in questo locale si servono drink di alta qualità confezionati con prodotti che hanno fatto la storia. Salvatore at Playboy è un tipico esempio di “library bar”, termine che nella nostra lingua potrebbe suonare come “locale-vetrina”. Nella pratica si tratta di spazi dalla forte identità, che si specializzano in un filone, lo pongono sotto i riflettori e mettono in atto strategie concrete per farlo conoscere al pubblico. C’è chi punta sulle bottiglie di Cognac o Bourbon di fine Ottocento, chi sulle suggestioni del passato come gli Speakeasy o i Tiki Bar e chi, succede al Cabrera di Madrid, su una collezione di shaker di ogni tempo e luogo.
Ci sono i locali specializzati in libri d’epoca come il Library Bar del Leela Palace di Nuova Dehli, quelli come la Torrefazione Colombia di Milano che vantano una collezione di 160 macinini da caffè e chi, come La Pâtisserie des Rêves di Parigi, espone i prelibati dessert sotto caratteristiche lampade a cloche. La premessa era che lo scopo dei locali -vetrina è comunicare un messaggio, un’identità specifica da incidere nella memoria, una storia.
A volte si tratta di racconti insoliti. Si prenda per esempio il caso curioso del progettista Matthieu Lehanneur, che al ristorante e lounge Flood di Parigi ha pensato di offrire un’esperienza globale legata al mangiare. L’equazione non fa una piega: l’ossigeno come il cibo è nutrimento, quindi perché non collocare al centro della sala ristorante un acquario con 100 litri di Spirulina Platensis, un’alga che non possiede solo straordinarie qualità nutritive, ma agisce con efficacia nella purificazione dell’aria immettendo grandi quantità di ossigeno?
Il confronto tra ibridi e tematici
Per capire il successo dei locali-vetrina, e perché stiano prendendo piede, facciamo un passo indietro. Nel 2006, col Decreto Bersani e la liberalizzazione delle licenze, abbiamo assistito alla nascita di locali che alla loro attività principale ne associavano una accessoria: negozi di fiori con caffetteria, parrucchieri con banco per gli aperitivi, manicure con servizio bar. Pur non mancando le eccellenze, come succede con tutti i fenomeni di moda, nel tempo la bolla si è sgonfiata.
I motivi? In primis le difficoltà incontrate dagli operatori nel gestire attività tanto diverse tra loro. In secondo luogo la confusione generata nel pubblico (“Ma questo è un cocktail bar o un parrucchiere?”) e, terzo, perché questi ambienti ibridi non avevano una vera storia da raccontare, ma si presentavano come collage male assortiti. Fastidiosi come parquet montati male. Per questo prevediamo che al loro posto, e per reazione, sorgeranno spazi coi connotati. Prendi il Mojito Lab di Parigi, un anno di vita, realizzato da Laurent Greco, uno tra i più influenti opinion leader nell’industria del bar, in collaborazione con Bacardi. Il concept del bar, nella vivace zona della Bastiglia, ruota intorno al Mojito. In carta ci sono una ventina di ricette che vanno dallo Smoky Mojito al Molecular Mojito, dal Raspberry Mojito al Mojito a base di zenzero, che gli ospiti possono scoprire attraverso tavoli tattili interattivi con foto, curiosità e relative ricette. Nel bar c’è anche un museo tecnologico con la storia del cocktail e una boutique per acquistare le specialità prodotte nel locale. Ma la vera chicca sono i muri vegetali, collocati lungo le pareti del locale, dove sono coltivate dieci varietà diverse di menta. Un manifesto vegetale che qualifica, come meglio non si può, l’identità di questo laboratorio del Mojito.