Adour, il winebar interattivo di Ducasse

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L’ultimo spot di Alain Ducasse è l’Adour a New York, wine bar interattivo più ristorante dove lo chef segue le regole del vino. E i prezzi non sono esosi.

Un anno d'assenza dalla scena newyorchese, e il pluripremiato, cinquantunenne chef-imprenditore Alain Ducasse ci riprova, a Manhattan, per la terza volta, dopo il fiasco dei suoi due ristoranti precedenti, Mix e Alain Ducasse at the Essex House (un tre stelle Michelin). Questa sua ultima creazione, Adour (dal nome di un fiume del sudovest della Francia) è ospitata nel sontuoso ultracentenario hotel St. Regis e vuole essere soprattutto un tributo al vino (adour-stregis.com). A dirigere il settore vini è il giovane “chef sommelier” Thomas Combescot-Lepère. La lista, come si può immaginare, è voluminosa con oltre 1.800 bottiglie: la si può consultare solo su richiesta (in lettura viene data la versione abbreviata di 33 pagine, con 600 vini). Il piccolo wine bar, sempre affollato di uomini d'affari, è una vera novità con quattro postazioni con menu touch screen proiettati dall'alto direttamente sulla superficie del bancone, pronti per essere sfogliati. Un'interfaccia realizzata in collaborazione con uno studio americano, il Potion, dove l'utente può spaziare all'interno del menu stesso selezionando vini, scegliendoli in relazione alla regione di provenienza, al colore, al gusto e anche ai cibi. Nel menu sono suggeriti anche i bicchieri più adatti e altre informazioni relative all'annata, alla produzione ecc. All'utente non resta che navigare, scegliere i vini che più lo attirano (semplicemente pigiando sul nome del vino) e, successivamente, degustarlo. Attigua al wine bar, la sala ristorante (70 posti): dovunque ci si siede, si è attorniati da armadietti trasparenti a temperatura controllata. E, nel retro, trova spazio un privé per una ventina di persone che ospita una cinquantina di cantinette, ciascuna con una dozzina di bottiglie, per custodire i tesori dei clienti vip.
Sulla lista non mancano le “occasioni”: un bianco Edelzwicker 2006 di Navarro per 40$ o il Riesling dei Finger Lakes di Ravine a 35. Ma se si è in vena di spendere, si può arrivare a sborsare 2.265$ per un Chateau Cheval Blanc 1982. Anche la selezione al calice è molto vasta: si può “navigare” da una flute di un intenso Poiré Granit (17$) del normanno Eric Bordelet a un Chateau Talbot 2003 (36$), che viene versato direttamente da una bottiglia imperial. «Per la prima volta nella mia vita - spiega Thomas Combescot-Lepère - uno chef mi chiede se deve modificare alcuni ingredienti per rendere il piatto più adatto al vino». E cita, ad esempio, il caso di un'insalata d'aragosta con finocchio e fette d'arancia. Annota il sommelier: «Per me l'arancia è così potente da diventar nemica del vino: abbiamo, dunque, provato a sostituirla col pompelmo. Il risultato è che il piatto funziona senz'altro meglio con il vino, pur ritenendo l'elemento agrume». Non solo vino, naturalmente. Oltre a una dozzina di snack (9-16$), il menu prevede nove antipasti (17-29$), dieci entrée (32-49$) e 6 dessert creati dallo chef pâtissier Sandro Micheli (14$). Il piatto formaggi costa 22$ e il menu degustazione (5 portate) 110$. Prezzi alti, ma tutto sommato più che ragionevoli per un ristorante di questo calibro. All'Essex House, che Ducasse aprì nel 2000, il prezzo fisso era 150$ e quello del menu degustazione 225$.

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