“Leggere” i gesti aiuta a capire se il cliente è contento

Cheeful attractive young man drinking coffee in cafeteria and talking to barista
Mordicchiarsi le unghie o tirare la cravatta possono esprimere insoddisfazione. Toccarsi i capelli invece può essere un segno positivo. Il linguaggio non verbale ti racconta molto dei tuoi avventori

Capire se i clienti sono soddisfatti e rilassati o se al contrario sono a disagio nel vostro bar è fondamentale. Molte persone però non dicono se c’è qualcosa non va: per questo può essere utile conoscere il linguaggio del corpo che, attraverso alcuni segnali legati ai gesti, alla mimica facciale e alla postura, aiuta a comprendere gli stati d’animo positivi o negativi degli avventori, consentendo eventualmente di intervenire per ovviare al problema.

Non sempre, infatti, la comunicazione verbale, ovvero quella che avviene tramite le parole, è sufficiente a cogliere correttamente il messaggio che l’interlocutore sta trasmettendo. Oltre a questa forma di comunicazione esiste anche quella non verbale, che se interpretata nel modo giusto può essere molto più esplicita e diretta, svelando lo stato emozionale positivo o negativo delle persone.

La postura è indicativa

«Si tratta di una risposta del nostro sistema nervoso a uno stimolo che può essere esterno, quindi quello che vediamo o sentiamo, come immagini, situazioni reali, musica, parole, rumori, o interno, come un pensiero, a cui corrisponde un gesto», spiega Ivonne Porto, consulente e docente nel campo della formazione aziendale sulle tecniche di comunicazione, vendita, motivazione e gestione delle risorse umane.

«La comunicazione non verbale si divide in quattro macro-aree: la prossemica, che riguarda il modo in cui le persone usano lo spazio intorno a sé; la digitale, ovvero tutti i contatti fatti con le mani e le dita su di sé e sugli altri; la paralinguistica, che coinvolge i fattori non verbali del linguaggio, come il colpo di tosse, e infine la cinetica che riguarda i gesti, la mimica facciale e la postura del corpo».

È soprattutto quest’ultima area che può essere d’aiuto per comprendere gli stati d’animo dei clienti.

Segnali negativi

Per farlo ci sono alcuni segnali che è possibile osservare anche da lontano e decodificare: ci sono gesti che indicano uno scarico di tensione, legati quindi a emozioni negative, e segnali di gradimento, che denotano sensazioni piacevoli.

Chiaramente è importante identificare innanzitutto gli atteggiamenti che manifestano tensione da parte dell’avventore, in modo da poter intervenire tempestivamente: per esempio quando si pizzica il volto, mordicchia le unghie e le labbra, si gratta il naso o le zone vicine, tira la cravatta o cerca di allentarla, tormenta o si spazzola la giacca, si sfrega gli angoli della bocca, ritrae il mento, si mette le mani sui fianchi, si tira su le maniche, deglutisce, tira le dita, sbuffa continuando a guardarsi in giro, stringe con forza un oggetto.

In tutti questi casi è possibile che il cliente si senta a disagio o che si stia innervosendo per l’attesa e può essere utile, se non possiamo accorrere subito, volgere lo sguardo verso di lui e fargli magari un cenno con il capo per fargli capire che lo abbiamo visto.

Segnali positivi

Segnali positivi che indicano invece  che il soggetto è rilassato sono invece toccarsi i capelli, accarezzarsi la testa, passarsi la lingua sulle labbra, giocare con un bicchiere o con l’anello, manipolare l’orecchio, avere il busto proiettato in avanti, accarezzarsi la cravatta o il collo.

In tutto ciò, occorre però tenere presente che «Ogni gesto può avere molteplici significati e non uno solo: emozioni diverse possono dare origine a risposte simili», continua Porto. «Non bisogna guardare un solo gesto, ma tutto il corpo nel suo insieme, perché alcune volte si effettuano dei movimenti che sono la conseguenza di un dato oggettivo, per esempio strofinarsi il naso perché si ha un raffreddore. Quindi occorre valutare se il gesto è solo la risposta a uno stimolo neutro, come appunto il raffreddore, oppure a uno stimolo emotivo o psicologico, che emerge quando non c’è quello neutro, per esempio in una situazione di disagio».

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