Tornano i pub a marchio: ma le insegne sono dei microbirrifici

Ritorna la moda delle birrerie brand oriented. E adesso sono i microbirrifici artigianali ad appropriarsene. Analisi di un fenomeno in evoluzione con i suoi modelli di riferimento e le sue criticità

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Ritorna la moda delle birrerie brand oriented. E adesso sono i microbirrifici artigianali ad appropriarsene. Analisi di un fenomeno in evoluzione con i suoi modelli di riferimento e anche le sue criticità

Chi si ricorda i cosiddetti “brand oriented pub”? Furono una moda birraria degli anni Novanta quando, all’indomani del primo esperimento di successo targato Guinness Italia, che realizzò il primo irish pub di una lunga serie, tutte le grandi aziende del settore iniziarono a promuovere i locali a tema: brand oriented per l’appunto. Venne così il tempo dei british pub con le birre Bass e Tennent’s, dei Crazy Bull firmati Birra Peroni, degli irish pub legati a Murphy’s Stout e degli Heineken Jammin Club.

Come spesso accade con le mode anche quella dei brand oriented cominciò a scricchiolare sotto i colpi dell’arrembante “rivoluzione” artigianalbirraria così come per una raggiunta saturazione del mercato. Ora, sotto forme diverse, il fenomeno potrebbe essere risorto. E la resurrezione sembra principalmente imputabile proprio ai microbirrifici italiani.

Baladin, il primo di una lunga serie

Il primo a muoversi in questa direzione, come spesso è accaduto nella storia birraria nazionale, è stato il piemontese Baladin con l’apertura dei cosiddetti Open. Dopo una prima realtà sperimentale in terra piemontese il vero debutto sulla scena avvenne a Roma, in collaborazione con il laziale Birra del Borgo. Open, tutt’ora attivo sebbene senza Birra del Borgo oggi acquisita dal gruppo AB-Inbev, è stato il primo di una serie che ha registrato aperture a Torino e, con un format leggermente diverso, a Milano, Bologna e Jesolo. Birra del Borgo, dal canto suo, ha aperto la sua Osteria sempre nella capitale un paio d’anni fa e ha recentemente inaugurato in città altri due spot chiamati Il Bancone. Più recentemente anche Milano è stata toccata dalla moda dei locali-bandiera. Se il Birrificio Lambrate è stato sempre considerato un brewpub al tempo in cui la produzione era allo stesso indirizzo del locale, l’altrettanto storico Birrificio Italiano è sbarcato dalla provincia di Como sotto la Madonnina lo scorso anno. Da quel momento il capoluogo lombardo ha registrato l’apertura dei locali-bandiera dei birrifici Vetra, Orso Verde, La Buttiga e WAR. Tanto per fare solo i primi nomi che ci vengono in mente.

I format all'estero

Considerato che il fenomeno non è solo italiano, due dei birrifici craft più noti a livello mondiale ovvero lo scozzese Brewdog e il danese Mikkeller hanno locali sparpagliati in ogni angolo del globo, è opportuno cercare di capire le motivazioni di questa strategia di sviluppo sul territorio. Che sono fondamentalmente due. La primo è quella che un locale a proprio marchio e con le proprie birre, soprattutto se piazzato in aree molto frequentate, contribuisce a dare visibilità al brand ma, in secondo luogo, l’apertura di locali-bandiera alleggerisce le difficoltà legate alla distribuzione e alla vendita a terzi che molti birrifici stanno incontrando da qualche tempo a questa parte. La moltiplicazione dei concorrenti non ha infatti avuto come conseguenza un adeguato aumento dei locali indipendenti, ovvero di coloro che non essendo sotto contratto con una multinazionale o un distributore, possono attaccare ciò che vogliono al loro impianto di spillatura. Il che ha portato a un eccesso di offerta rispetto alla domanda.

Aggiungiamo poi che i nuovi consumatori di birra sembrano essere molto meno fidelizzati o fidelizzabili di quelli della generazione precedente e il gioco è fatto. Dunque, per vendere bisogna rendere più sicuri i canali di vendita. Se siamo alla vigilia di una nuova moda “brand oriented” è forse presto per dirlo. Se quella degli anni Novanta ha insegnato una lezione, è che quando ci si fa prendere troppo la mano si rischia di stancare presto. E che, in buona sostanza, non è mai solo l’ambiente o la selezione delle birre che fa vivere a lungo un locale, quanto la competenza, il carisma e la convinzione che ci mettono, alla fine, il gestore e i suoi collaboratori.

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