Birre alcol free, l’Italia ancora a un passo indietro

Birre light, analcoliche e alcol free stanno avendo successo sui mercati internazionali. Nuove proposte sul mercato italiano tentano di convincere i diffidenti consumatori italiani.

Lattina di birra non alcolica

All’estero i numeri parlano chiaro: le birre analcoliche stanno crescendo in volumi di anno in anno e in quello che era un segmento riservato alle multinazionali stanno ora entrando diversi birrifici artigianali. Ma in italia stentano ad affermarsi. Forse però qualcosa si muove, almeno nel canale diurno. Salutisti, donne e millennials sono i clienti ideali per il segmento.

Sarà la nuova sensibilità salutista, sarà il timore dei controlli stradali con relativo alcol-test ma il segmento delle birre analcoliche non è più immobile come un tempo. I dati pubblicati da Global Market Insights lasciano adito a pochi dubbi: il mercato mondiale delle birre alcol free è stato stimato per un valore superiore ai 9,5 miliardi di dollari nel 2019 e la previsione è che la crescita si attesti sul 7,5% annuo fino al 2026. In Paesi birrari come Regno Unito e Repubblica Ceca, tanto per fare solo due esempi, sono sempre più numerosi i birrifici, anche artigianali o di medie dimensioni, che hanno iniziato a produrre birre analcoliche.
Lorenzo Fortini, titolare di Ales&Co. ovvero una delle più dinamiche aziende d’importazione e distribuzione di birre in Italia (nel suo portafoglio ci sono aziende come Brewdog, Moor, Stone Brewing, TO ØL e The Kernel) avrebbe solo l’imbarazzo della scelta tra i suoi fornitori: «Sono sempre più i birrifici partner che hanno a disposizione, e ci offrono, una o più birre a zero gradi. Il problema per noi è venderle. In Italia il segmento non si sta ancora muovendo in maniera sensibile». Ed è un peccato perché pur avendo un’immagine un po’ triste, le birre analcoliche sono state a lungo intese come scelte di ripiego obbligato, dal corpo assente e dal tenue sapore dolciastro, oggi ci sono sul mercato prodotti interessanti come Brewdog Punk AF (dove AF sta per Alcol Free), che pur restando una birra esile ha nei generosi profumi di luppolo aromatico quel “colpo di reni” che regala un minimo di soddisfazione alla bevuta.
Tra le altre birre importate, dobbiamo segnalare una protagonista come la tedesca Clausthaler, creata nel 1978 e diffusa in oltre 50 Paesi del mondo. Oltre a Clausthaler Original Non Alcoholic (meno di 0,49% alc), l'importatore Radeberger Gruppe Italia importa anche la versione Clausthaler Non Alcoholic Unfiltered.

Tuttavia, che per le birre analcoliche in Italia ci possa essere un futuro, vanno interpretate le mosse dei big player.
Nel 2019 Heineken Italia, azienda leader di mercato, ha rilanciato la sua Heineken 0.0 e recentemente è stata immessa nel mercato un box da 25 bottiglie da 33 cl dedicata al “Dry January” (Gennaio Senza Alcol), oltre ad aver presentato Birra Moretti Zero.
Come Heineken anche Birra Forst ha la Forst 0.0%, sbarcata in autunno pure nel canale gdo, e oggi birra ufficiale delle tappe italiane della Coppa del Mondo di Sci appena inaugurata a Cortina d’Ampezzo.
Anche la multinazionale Ab-Inbev è presente sul mercato alcol free con la versione Blue Non Alcoholic del suo prodotto di punta Beck’s.
Ma la conferma che rinforzare la presenza nel segmento possa essere lungimirante è sottolineata da Birra Peroni (passata ad Asahi Europe). Da più di ventanni Birra Peroni distribuisce la storica (1839) Tourtel Analcolica (meno di 0,5% alc), originaria della Lorena (Francia), la cui bottiglia 33 cl è stata recentemente rinnovata. Da pochi mesi Birra Peroni hga lanciato Nastro Azzurro Zero, insieme con Peroni Libera 0,0% (sponsor di Aston Martin Team in F1). Un segnale importante per chi, come l’azienda con sede a Roma, aveva scommesso già anni fa sulle analcoliche Tourtel. Oggi però il cambio di passo è dato proprio dall’aver allargato alla versione alcol free il suo brand di punta.
E il mercato horeca? Al momento il canale specializzato di pub e birrerie sembra freddino, in parte proprio per la propria specializzazione e in parte perché, tra gli amanti della birra “alcolica”, si sta assistendo a un ritorno di fiamma per le birre cosiddette “session” ovvero al di sotto della soglia dei 5% vol. Ma è nei bar diurni che si concentra lo sforzo delle birre alcol free e le loro possibilità d’affermazione: luoghi dove la pausa pranzo prevede un sorso privo di alcol ma dal gusto gradevole. Cosa che la nuova generazione di birre analcoliche può offrire. Almeno questo è ciò che pensano all’estero e, non sempre ma spesso, quello che diventa “fenomeno” fuori dai nostri confini, presto o tardi lo diventa anche dalle nostre parti. *

Artigianale analcolica? Si può fare…
Artigianale, italiana e con una gradazione alcolica inferiore, come prevede la legge, agli 1,2% Vol? Difficile, se non impossibile. Fino a qualche anno fa c’era un microbirrificio lombardo, Il Birrino, che produceva la Zero Virgola, ma l’azienda ha da poco spento le luci definitivamente. Sembra resistere, in quel di Trieste, il brewpub pizzeria Tazebao con la sua Tazzero da 0,5% vol. Per il resto, tabula rasa. Ma, anche in questo caso, non è tutto immobile. Un birrificio dal nome riconosciuto e dalla chiara affidabilità come il piemontese Croce di Malto sta riflettendo sulle chance di un suo prodotto privo di alcol. Certo, questi non sono esattamente tempi facili per lanciarsi in una nuova avventura e soprattutto in una fascia di mercato inesplorata. «Ma in effetti ci stiamo lavorando sul serio», conferma il birraio e cofondatore Alessio Selvaggio. «Siamo in una fase di studio ma con dei primi micro-batch che hanno dato risultati interessanti. Ora si tratta di vedere come strutturare il processo tecnologico affinché sia ripetibile e affidabile».

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