L’aperitivo a Milano? Ci sta!

L’aperitivo a Milano: quando la tradizione si fa cocktail. Questo è stato il tema di un incontro che ha portato per la prima volta sul palco di Mixology Experience alcuni dei nomi più noti della scena milanese: Maurizio Stocchetto per il Bar Basso, Tommaso Cecca per il Camparino in Galleria, Francesco De Luca per il Gin Rosa di San Babila, Giuseppe Gattullo per la Pasticceria Gattullo, Marco Esposito per Matricola Milano 1929 e Angelo Corbetta, portabandiera dell’Harp Pub Guinness - since 1976

Una premessa. Oggi ci troviamo nella platinum age del cocktail. E, per molti versi, nel periodo migliore per l’aperitivo. Se il caro vecchio spot anni Ottanta osannava la Milano da Bere, oggi siamo nella città dove è più comune sentir dire “andiamo a far l’aperitivo” che “andiamo a cena”. Andare a fare l’aperitivo è diventato un mantra transgenerazionale, un sentire comune dai più giovani ai più maturi. Non è sempre stato così. Prima degli anni Novanta (la cosiddetta Dark Age) il cocktail era visto come uno stile di bere elitario, un fenomeno esogeno. In discoteca si bevevano long drink, tanti chupiti, “cervelli di scimmia”. Ma tutto questo succedeva la notte. In questo sali e scendi delle mode, da questa giostra, non sono mai scese (tranne qualche stop momentaneo) alcune culle storiche dell’aperitivo.

Bar Basso: le origini dell'aperitivo moderno

Siamo qui per raccontarli attraverso le loro testimonianze. Perché la storia dei bar è certamente più affascinante di quella dei singoli cocktail. Del Bar Basso di Milano tutti sanno che è il luogo di nascita del Negroni Sbagliato, ma al Bar Basso si va perché rappresenta un’idea, per la sua atmosfera, per le persone che lo animano ogni giorno: Maurizio Stocchetto, i suoi barman, i camerieri, gli ospiti. Perché il bar è quella cosa fatta per metà da chi lo vive e per l’altra da chi lo fa e lo gestisce. «La grande impresa che fece mio padre Mirko - spiega Maurizio Stocchetto - fu quella di rilevare il Bar Basso da Giuseppe Basso. Lui che aveva lavorato nelle grandi strutture di Venezia e poi Cortina, fu tra i primi barman a portare il concetto e lo stile di servizio tipici dell’hotellerie all’interno di un bar comune. Trasformò un bar di strada in un salotto da grand hotel. La sua tessera Aibes era la numero 52 e, per quello che so, fu tra i primi barman Aibes a lavorare in un contesto diverso dall’albergo. Il Bar Basso diventò luogo di suggestioni. Ci girarono alcune scene del sequel di “Emanuelle” con Erika Blanc e fu il set, negli anni Settanta, per uno spot della Toyota». Ma fu anche il luogo dove spuntò il famoso bicchierone. «I cocktail non erano così diffusi quando mio padre rilevò il Bar Basso. Il bicchierone era ed è uno dei nostri segni distintivi». E sono stati tra i primi a lavorare grandi pezzi di ghiaccio per usarli nei drink. «Negli anni Sessanta il ghiaccio non era diffuso. Nei cocktail si centellinava. Ai ristoranti venivano forniti grossi blocchi per tenere in fresco i cibi. Noi iniziammo a prendere queste lastre e a tagliarle con la motosega per fare cuboni, ma anche cubetti».

Camparino in Galleria, un monumento vivente 

Ci si ricorda delle città per le sue vie, piazze, monumenti, ma anche per le sue cattedrali del bere. Come il Camparino in Galleria. C’è un quadro dal titolo “Rissa in galleria”, dipinto da Boccioni nel 1910 e oggi esposto alla Pinacoteca di Brera che ha una forza sublime. In sé esprime tutta la tensione e il dinamismo tipici del Futurismo. Descrive, si dice, l’assalto alla buvette di Gaspare Campari. «La prospettiva è ingannevole - sottolinea Tommaso Cecca, portavoce del Camparino -. Da quello che sappiamo il dipinto raffigura l’assalto al Caffè Campari che si trovava dall’altro lato della Galleria. Non al Camparino. Già allora si diceva “ci vediamo al Camparino”. Il bar era parte della toponomastica. La Galleria era, tra fine Ottocento e primi del Novevento, il primo “mall” milanese ed era la passerella prediletta dai cittadini. Il nostro bar, dove si serviva solo e unicamente Campari o Campari e seltz, piaceva per i suoi soffitti alti, ariosi e con decori di pregio. Il restauro del Bar di Passo è durato solo 60 giorni. Tempo di pulire le tessere del mosaico e dare maggiore rigore all’ambiente. Con l’orologio che non ha mai smesso di funzionare, il legno del banco e lo stagno del top».

Lo stagno? «Sì - continua Cecca - lo stesso materiale che trovate anche al Bar Basso. Ci sono passati migliaia di clienti e lo stagno è sempre lì. Non si rovina come l’acciaio e con l’uso assume una tonalità patinata molto affascinante. Howard Schultz ha dichiarato in un paio di recenti interviste che l’illuminazione per aprire i suoi primi Starbucks la ebbe proprio passando dal Camparino. Era il 1983. Per lui il Bar di Passo rappresenta un modello di retail. Uno entra, non attende troppo, ha a disposizione una proposta molto ampia, consuma e se ne va».

Gattullo, sguardo dritto al futuro 

Il segreto dei locali storici ha due fattori chiave. Da un lato il legame con la tradizione, dall’altro l’arte del saper guardare avanti. Generazione dopo generazione, pur conservando saldo il Dna, la bottega storica è in grado di proiettare il suo sguardo verso il futuro. Se ne è parlato con Giuseppe Gattullo, terza generazione della Pasticceria Gattullo, uno di quei locali come Taveggia, Cova o la Pasticceria Cucchi, dove puoi fare un’esperienza a trazione integrale. Dall’alba al tramonto. Gattullo ci mostra una foto della pasticceria con l’attore Lino Toffolo in primo piano dietro al banco. «Da noi venivano tutti gli attori del Derby: Renato Pozzetto, Diego Abatantuono, Teo Teocoli. Tutto è iniziato nel 1961 con una pasticceria da quattro vetrine aperta da mio nonno Peppino. Nel 1965, con mio padre, il locale ha iniziato a proporre anche l’aperitivo. Che allora consisteva nel bianchino o nello spruzzato. I cocktail arrivarono solo tra gli anni ’70 e ’80. Negli anni Ottanta iniziammo ad allestire il banco per l’aperitivo. C’era un piccolo buffet con patatine, il bicchierone stile Bar Basso con le olive o i grissini e soprattutto la nostra pasticceria salata».

Gin Rosa, un pezzo di storia 

Tra le testimonianze c’è quella di Francesco De Luca, che alcuni fa ha rilevato uno di quei luoghi che dimostrano che i bar non sono solo spazi di consumo, ma luoghi di senso. Quando c’è un bar, c’è vita. Quando il bar non c’è più è più facile trovare la malavita. Con il suo Gin Rosa di San Babila, De Luca è stato capace di far risorgere una galleria moribonda nel cuore della Milano della moda. «Da operatore del settore, da sempre e con grande soddisfazione nel business, ho sentito il dovere di riportare alla luce sia l’aperitivo storico Ginrosa sia questo locale fondato nel 1820. Per me è stato soprattutto un atto d’amore: non volevo far morire un pezzo importante della storia di Milano. Il nome originale era la Bottiglieria del Leone. Così abbiamo avviato un lavoro di ricerca, coadiuvato dal supporto di storici, sulle tracce del passato di questo locale. Scoprendo che l’insegna Gin Rosa esiste dal 1931. Quanto all’origine dell’aperitivo Ginrosa tutto parte da un’imprenditrice e benefattrice originaria di Oleggio. Parlo di Annunciata Bourné. Fu lei, vissuta tra il 1844 e il 1913, ad avviare la produzione del nostro aperitivo in rosa pensato per il pubblico femminile. Se Campari lo fa rosso, noi lo faremo rosa e più leggero, disse la signora Bourné. Fece un grande successo tanto che, alla sua morte, non avendo figli, lasciò tutto in beneficenza alla comunità di Oleggio».

Harp Pub Guinness e Matricola, case (non solo) degli studenti 

Non solo cocktail bar, pasticcerie, ma anche i pub sono luoghi per consumare l’aperitivo. Dal Bar Magenta al Matricola, all’Harp Pub Guinness, il pub è stato uno dei luoghi dove generazioni di universitari si sono trovati per brindare. C’è un universitario che frequenta l’ambiente del Politecnico dal 1976, ma non si è mai laureato. Parliamo di Angelo Corbetta, patron dell’Harp Pub Guinness, in piazza Leonardo da Vinci, proprio davanti all’ateneo. «L’aperitivo a Milano - ricorda Corbetta - è iniziato col Bar Basso. Ricordo Mirko Stocchetto che accompagnava i suoi drink con una rosa. Altri tempi, ma allora faceva davvero effetto. E poi, il suo Mangiaebevi, una delle specialità più amate di Casa Stocchetto. Poi sono arrivati gli anni Settanta e le modalità di bere divennero due. O si sceglievano drink leggeri come il Bellini o Rossini rigorosamente preparati con Champagne e non con Prosecco. Oppure si andava sui classici da aperitivo. Certo, il Negroni per esempio, era un’altra cosa. Veniva preparato per metà con gin, per tre terzi con bitter e per due terzi con vermouth. Gli anni Novanta, per me, rappresentarono il tracollo. Con il trionfo dell’apericena, gli shottini, il cervello di scimmia e chi, per farsi notare, faceva fuoco e fiamme, in senso letterale, dietro al bancone». E oggi? «Si sta meglio di ieri. C’è una parte della nuova generazione di bartender che ha saltato a piedi pari la nostra.  Sia a livello tecnico sia in materia di conoscenze merceologiche. Negli anni Settanta, anche in Aibes, c’era chi non sapeva riconoscere la differenza tra un rye e un Canadian whisky.»

Poco distante, sempre in zona Città Studi a Milano, troviamo il Matricola. Oggi diretto dalle mani esperte di Marco Esposito. Il Matricola è un pub storico che ha iniziato la sua storia nel 1929 come un semplice bar. Passato attraverso diverse proprietà nel corso degli anni, in ordine Mazzoni, Perotta ed Egi, è diventato un luogo frequentato e popolare, attirando giornalisti, scrittori, studenti universitari e personaggi noti. Giornalisti e scrittori della vicina Rizzoli spesso facevano visita. Personaggi noti come lo scrittore Guareschi, la Fallaci che ballava al jukebox e il pilota Ferrari Lorenzo Bandini dal garage di via Plinio erano tra i frequentatori. Ovviamente, c’erano anche molti professori dell’università. Negli anni ‘60 sono stati introdotti gli aperitivi, con birra alla spina, pizza, gelato e specialità siciliane. Il Matricola era rinomato per la sua selezione di birre. Negli anni ‘70 il pub ha affrontato periodi difficili, compresi attentati terroristici, che hanno portato alla sua chiusura. Tuttavia, nel 1992, è stato acquistato da Carmelo, che lo ha trasformato nel primo Irish pub di Milano.

Il locale è rimasto molto frequentato e ha sviluppato una solida reputazione. Nel 2010, il Matricola è diventato di proprietà di una società e ha mantenuto la sua tradizione di offrire una vasta selezione di birre, con una crescente attenzione alla birra artigianale. La qualità delle birre e dei prodotti offerti è diventata una priorità, e sono state organizzate degustazioni per educare il pubblico. Oltre alle birre, il Matricola si è concentrato sulla cucina, offrendo piatti di qualità per l’aperitivo. Il pub mira a creare uno spazio di socializzazione sano e stimolante, contrastando l’approccio superficiale al bere e ai cocktail scontati. «L’obiettivo - conclude Marco Esposito - è far apprezzare le cose belle e promuovere la moderazione. Il Matricola si impegna a rimanere fedele alla sua storia e alle storie delle persone che lo hanno attraversato nel corso degli anni. Il pub è un luogo dove si può trovare autenticità e un senso di comunità. Si cerca di offrire un’esperienza che nutra la mente, il corpo e l’anima, guidando le persone verso una vita consapevole, lontano dalle distrazioni dei social media».

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