C’era una volta il rhum tricolore

Branca, Cocchi, Fabbri, Luxardo, Martini&Rossi, Pallini, Poli, Stock...Tutti produttori di rum. Succedeva nella prima metà del Novecento quando il distillato di canna divenne un prodotto diffuso e popolare. Valerio Bigano ne racconta l'epopea con le storie imprenditoriali dei brand che italianizzarono il "nettare" dei Caraibi

Pochi sanno che il rum ha anche una storia italiana. È quella narrata da Valerio Bigano nella sua ultima fatica libraria “La lunga storia del rhum italiano. Dai Caraibi al nostro Paese” (il libro autoprodotto costa 50 euro e va richiesto direttamente all'autore, www.bigano.it) Il ricercatore veronese dopo essere andato recentemente, nel 2022, alla riscoperta dell’epopea del Cognac nazionale con il volume “Cognac d’Italie”, è tornato ad approfondire le vicende di uno spirit che non nasce certamente in Italia, ma che nella Penisola è stato protagonista di una breve ma intensa stagione d’oro. «Dagli anni Trenta del secolo scorso fino ai primi anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale - spiega Bigano - il rum nostrano ha goduto di una certa popolarità ed era presente stabilmente nella proposta di moltissime aziende liquoristiche e distillatorie della Penisola. Lo dimostrano i prodotti di 99 aziende rappresentate e le storie imprenditoriali che racconto nel libro, tutte caratterizzate da un ricco e in gran parte inedito corredo di immagini di rare bottiglie storiche e di etichette dell'epoca di grande valore artistico. Un piccolo patrimonio iconografico che ho raccolto grazie al contributo di collezionisti del settore e delle aziende».

 

Come è stato per il libro sul Cognac o per quello sul whisky italiano, risalente ormai al 2013, anche questo progetto è frutto di un lavoro certosino di ricerca, documentazione e riscoperta di “pezzi” importanti di storia della nostra bar industry che altrimenti rischierebbe l’oblio. Ancora di più in questo caso, dove si parla di un distillato oggi quasi praticamente sparito dalle bottigliere e che “resiste” solo nella tipologia del rum o rhum fantasia, liquore secco aromatizzato al rum, utilizzato prevalentemente in pasticceria per la preparazione di dolci come i babà. Ai tempi, invece, era un distillato di largo uso che veniva apprezzato come digestivo, come ingrediente nelle miscele “futuriste” (tutte rigorosamente realizzate con spirit autarchici), come "correttore" unito al caffè o come base per la preparazione di punch. In più costava meno del Cognac. «In Italia - aggiunge Bigano - si comincia a parlare di rum nella seconda metà dell’Ottocento, quindi ancor prima del suo sbarco ufficiale. Tra i primi testi in cui se ne fa cenno, spicca quello di Luigi Sala del 1896, Il Manuale del Liquorista, con alcune ricette, oggi assolutamente improponibili e illegali, che cercavano di imitare i rum dei Caraibi e che, ad esempio, prevedevano la macerazione di tartufi neri non adatti alla vendita, di cuoio ecc. A livello nazionale, la produzione su larga scala vera e propria di rum italiano ha inizio una ventina di anni più tardi e vede le maggiori aziende di alcolici del Paese (ci sono tutti i big di allora come Martini&Rossi, Luxardo, Stock ecc., ndr) impegnate a importare i rum dai produttori caraibici per creare blend da imbottigliare autonomamente. Oppure impegnate a produrre rum nei propri impianti, importando le materie prime necessarie, come canna da zucchero o melassa, da avviare alla distillazione. Il risultato sono rum di buona qualità che a volte si avvicinano agli standard dei prodotti originali». Il libro di Bigano è anche un viaggio nell'iconografia del passato con etichette spesso caratterizzate da ritratti stilizzati di uomini e donne di colore e di chiara origine creola. Tutti raffigurati sorridenti, o in pose rilassate o scherzose, quasi a mitizzare le terre del rum dove ai tempi la realtà dei lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero era ben altra. «Etichette che non dovevano turbare la sensibilità dei consumatori - conclude Bigano - e di un pubblico ancora immerso nella propaganda colonialista delle potenze del Vecchio Continente. Fu così che un distillato povero, spesso definito la "bevanda degli schiavi", fu elevato al rango di prodotto di moda».

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