
“Una casa lontano da casa”. Così erano i locali ai tempi dei primi lounge bar. Bar dove fare il nido, sedersi, accucciarsi in compagnia di amici e amiche. Posti molto glamour, molto ostriche e Champagne, firmati e controfirmati dall’architetto Paperon de’ Paperoni. Bar che continuano il loro successo, vivi e vegeti, hanno cambiato solo forma, design, insegne, ma il concetto resta quello. Il gioco? Sempre lo stesso: costruire un bozzolo, un teatro, un guscio dove l’ospite possa evadere, dimenticare il mondo reale, sentirsi protagonista per un po’. Vale per i lounge, vale ancora per i Tiki bar. Posti mascherati che quando entri dentro vieni catapultato in un universo che profuma di esotico, fiori tropicali, legni scolpiti, rum a fiumi, mug antropomorfe che gli manca solo la voce e poi potrebbero anche parlare.
Rupert Holmes lo aveva capito con Escape (The Piña Colada Song): l’evasione non è un drink, è un alibi. “If you like Piña Coladas and gettin’ caught in the rain… write to me and escape.” Filosofia pura. Daniele Dalla Pola, in copertina, lo incarna perfettamente: la sua Sexy Colada, i suoi locali tra Miami e Messico. Lui e quelli come lui non fanno Tiki. Sono Tiki. E questa è la chiave del successo: non vendere banalmente uno Zombie a un intenditore di cocktail, ma vendere un mondo intero a chi quel mondo non lo conosce, ma ne è affascinato.

Già perché se un tempo cercavamo una casa lontano da casa oggi quello su cui puntiamo quando cerchiamo un bar è una casa lontano da casa, ma che abbia il profumo di un’altra casa. Vi siete persi nel giro di parole? Ci pensiamo noi.
Oggi la bussola gira altrove. La “casa lontano da casa” non basta più. Serve una casa che sappia di un’altra casa, diversa dalla tua, che racconti storie, ricordi, profumi di radici. I bar di quartiere tornano protagonisti. Da Roma a Milano, passando per Napoli e Palermo, la Gen Z riscopre i luoghi autentici: vecchie latterie trasformate in cocktail bar, coni gelato che tornano a farti innamorare, caffè che sanno di storia e vicinato. Non è nostalgia.
È “newstalgia”. È, letteralmente, la tendenza a provare sentimenti nostalgici verso elementi del passato reinterpretati o riadattati in chiave moderna. Ma è anche la conferma che i nuovi clienti vogliono autenticità e semplicità. Aperitivi buoni, accessibili, senza troppi orpelli. Perché evadere oggi non significa necessariamente volare verso l’esotico o nel salotto di lusso. Significa trovare rifugio anche in ciò che è reale, tangibile, vicino. E l’evasione è una porta che si apre e porta altrove.
Il bar va pensato come una macchina del tempo, un universo alternativo, un laboratorio di sogni. Basta un profumo, un buon caffè, un angolo di luce giusta. Un posto dove ci si accuccia, si osserva, si sorride e il mondo esterno sparisce. Per qualche minuto, ora, ci si sente altrove.
E allora capisci: evadere non è fuggire. È scegliere di vivere (o meglio far vivere) un’altra realtà, anche se solo per poco. •