Il tentativo di conciliazione diventa obbligatorio in una serie di materie: una strada rapida e poco costosa per le controversie
Riparte, rafforzato, l’istituto della mediazione, circuito alternativo ai tribunali. Dopo una prima prova durata a regime solo pochi mesi, l’obbligatorietà del tentativo di mediazione civile e commerciale è ripartita il 20 settembre, reintrodotta dal Dl 69/2013 (decreto del fare).
Il decreto ha riportato alle origini l’assetto della conciliazione obbligatoria (distinto rispetto alla mediazione regolata dal Codice civile), aggiungendo però alcune modifiche: dall’incontro preliminare “formativo” all’assistenza dell’avvocato, alla competenza territoriale. La nuova versione della conciliazione obbligatoria durerà in via sperimentale quattro anni.
Ambiti obbligatori
Uno degli obiettivi della mediazione, introdotta con la riforma del processo civile del 2009, è di alleggerire la macchina della giustizia. In una serie di ambiti definiti la conciliazione è ora obbligatoria: si tratta di diritti reali, divisione e successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento danni da responsabilità medica e sanitaria, risarcimento da diffamazione, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Ciò significa che, in questi ambiti, la parte che intende agire in giudizio, prima di andare in tribunale deve per forza tentare la strada conciliativa (l’avvocato deve informare dell’obbligo).
In generale, però, è una strada che può essere intrapresa per ogni altra materia non compresa fra quelle obbligatorie. La mediazione volontaria può essere utilizzata, per esempio, per controversie relative a società e associazioni in partecipazione o contratti fra imprese; oppure per contratti di vendita, somministrazione, trasporto e agenzia.
L’avvio dell’iter
Il procedimento si avvia con il deposito dell’istanza presso un organismo di mediazione iscritto nel registro del ministero della Giustizia (sottoposto ai controlli dell’ispettorato generale), e deve terminare entro massimo tre mesi. L’organismo è uno tra quelli del luogo del giudice territorialmente competente a conoscere la controversia (non c’è più quindi la libertà di scegliere il luogo dove fare domanda). In caso di più domande sulla stessa controversia, è competente l’organismo dove è stata depositata la prima istanza.
Il procedimento si può instaurare, oltre che per obbligo di legge, per delega del giudice (che può disporre l’esperimento della mediazione anche durante l’appello) o per vincolo contrattuale o statutario; per proseguire a livello operativo occorre il consenso delle parti.
L’incontro preliminare
Il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa un primo “incontro formativo” entro 30 giorni dalla presentazione della domanda per verificare con le parti le concrete possibilità di proseguire il tentativo. L’assistenza dell’avvocato è obbligatoria fin dal primo incontro, indipendentemente dal valore della lite, anche perché la mediazione, quando non si conclude con un accordo, diventa sempre più una fase pre-processuale, le cui attività possono avere ripercussioni sul processo stesso. Come spiega il Dl 69/2013, durante questo incontro il mediatore deve chiarire «la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione» (cioè una serie di incontri congiunti - o separati - per acquisire tutte le informazioni utili a raggiungere un accordo) e invitare le parti e i loro avvocati «a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura». Solo dopo aver acquisito la disponibilità di tutti può procedere con la mediazione. Alla fine della fase preliminare, se le parti decidono di passare alla mediazione si redige un verbale e si fissa una nuova riunione. Se la controparte non aderisce alla procedura o non compare a questo primo incontro, la procedura si chiude (e il mediatore deve comunque redigere il verbale negativo, sottoscritto anche dalle parti). Quando la fase preliminare si conclude senza l’accordo, perché le parti o anche solo una di esse non sono disposte a procedere nella mediazione, l’incontro è sostanzialmente gratuito (meglio: a costi assai contenuti).
Il compenso per il mediatore si riversa cioè sugli organismi di mediazione. Le parti devono pagare solo le “spese di avvio” del procedimento (40 euro più Iva per ciascuna parte) e le “spese vive”, conteggiate e documentate dall’organismo.
Nel caso in cui la mediazione vada a buon fine, le tariffe da pagare - suddivise in scaglioni secondo il valore della lite - sono indicate da una tabella ministeriale. Nelle materie in cui il tentativo di conciliazione è obbligatorio, però, il costo è ridotto: così, ad esempio, se il contenzioso vale fino a 5mila euro, la spesa a carico di ciascuna parte è di 86 euro (anziché di 130 euro, come nella mediazione volontaria): in aggiunta ai 40 euro più Iva della domanda.
Assenze sanzionate
Per incentivare a partecipare al procedimento, è stata prevista una sanzione a carico di chi, senza giustificato motivo, non partecipa alla mediazione: la sanzione corrisponde al contributo unificato dovuto per il giudizio. E, nel successivo processo, il giudice potrà desumere argomenti di prova dal comportamento della parte assente ingiustificata.