Una recente sentenza della Corte di Cassazione
La normativa di riferimento è l'art. 68 del TULPS (R.D. n. 773/1931) - e successive modificazioni - e l'art. 19, comma 1, D.P.R. n. 616/1977.
Sul punto è recentemente intervenuta anche la Corte di Cassazione, la quale con la recente sentenza 3 gennaio 2007, n. 21012, ha ribadito il divieto di ballare nei locali che non hanno la licenza di intrattenimento danzante.
Nel caso in questione il Comune aveva ordinato la chiusura di un bar nel quale i clienti ballavano nonostante la presenza di alcuni cartelli di divieto, forti del fatto che il gestore era solito chiudere un occhio. Il gestore aveva fatto opposizione contro il provvedimento del Comune, dando così inizio a un procedimento giudiziale. Mentre in primo grado il Tribunale aveva dato ragione al gestore del bar ritenendo che non fosse ravvisabile alcuna responsabilità in capo a quest'ultimo - in quanto l'attività di ballo degli avventori era stata spontanea, nel locale erano posizionati appositi cartelli che invitavano a non ballare, lo spazio era stato creato dai clienti spostando alcuni tavolini e non era presente alcun disk jockey - la Corte di Cassazione aveva capovolto la decisione, dichiarando il gestore colpevole di non essersi adoperato in maniera attiva per far cessare le danze degli avventori.
Cartelli e inviti verbali non sono sufficienti
Secondo la Cassazione, l'apposizione di uno o più cartelli di divieto all'interno del locale, così come i semplici inviti verbali a non ballare rivolti alla clientela, non sono sufficienti: i gestori senza licenza hanno l'obbligo di attivarsi concretamente per impedire ai clienti di ballare.
Per la Cassazione per fare scattare la multa a carico del gestore, infatti, "non è necessario il dolo, ma è sufficiente la colpa che può anche presumersi e ravvisarsi pure nel comportamento omissivo dei destinatari dell'obbligo giuridico di impedire il verificarsi dell'evento vietato" (i giudici parlano in proposito di "culpa in vigilando").