Guida alla legge sui pubblici esercizi

La disciplina della somministrazione di alimenti e di bevande nella legge n. 287/1991

L'art. 3, comma 1, della legge 25 agosto 1991, n. 287, stabilisce che l'esercizio delle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è subordinato ad una autorizzazione rilasciata dal Comune nel cui territorio è sito l'esercizio.



La stessa norma prescrive che tale autorizzazione è a sua volta subordinata alla iscrizione nel registro degli esercenti il commercio (Rec), previsto dall'art. 1 della legge 11 giugno 1971, n. 426, per l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti o bevande.



In seguito alla riforma del commercio entrata in vigore il 23 aprile 1999, il Registro Esercenti il Commercio è stato soppresso per quanto riguarda le iscrizioni per l´esercizio del commercio, sia all'ingrosso sia al dettaglio. Salva la normativa regionale (vedi sotto), è ancora obbligatoria l´iscrizione solo per l´esercizio dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. In tal caso l´iscrizione è condizione preliminare per ottenere l´autorizzazione amministrativa rilasciata dal Comune.

L'obbligo di iscrizione riguarda il titolare dell'impresa individuale o il legale rappresentante della società (o un suo delegato).



Ricordiamo che l'iscrizione al Rec è stata soppressa per l'esercizio delle attività commerciali e per le attività ricettive e mantenuta soltanto per le somministrazione di alimenti e bevande.



Per ottenere l'iscrizione nel registro sono richiesti particolari requisiti personali, morali e professionali, e precisamente:



a) l'avere raggiunto la maggiore età od essere emancipato;



b) l'avere assolto all'obbligo scolastico proprio;



c) l'essere in possesso dei prescritti requisiti professionali;



d) l'essere in possesso dei prescritti requisiti morali.



Vediamo ora nel dettaglio.



a) Il richiedente l'iscrizione nel registro per lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività deve avere raggiunto la maggiore età (18 anni), ad eccezione del minore emancipato autorizzato a norma di legge all'esercizio dell'attività commerciale (art. 4, primo comma, legge 426/1971).



b) L'assolvimento dell'obbligo scolastico comporta soltanto l'aver frequentato la scuola sino al 14° o al 15° anno di età, e non il conseguimento della licenza elementare per i nati sino al 1951 e della licenza media inferiore per i nati dal 1952 in poi: ne consegue che con la sola frequenza si ha diritto all'iscrizione.



Per quanto previsto dalla norma di cui al comma 3 dell'art. 10 della legge 26 febbraio 1990, n. 39 "... si prescinde per i cittadini extracomunitari...dall'adempimento degli obblighi scolastici".



c) Requisiti professionali necessari per ottenere l'iscrizione al Rec, per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, secondo quando stabilisce l'art. 2, comma 2, lett. c) della legge 287/1991, sono:



1. l'avere frequentato con esito positivo corsi professionali regionali relativi alla specifica attività di somministrazione di alimenti o di bevande,



oppure in subordine:



2. l'avere frequentativo corsi di una scuola alberghiera o di un'altra scuola a indirizzo professionale,



oppure in ulteriore subordine:



3. l'avere superato un esame di idoneità dinanzi l'apposita Commissione istituita presso la Camera di commercio.



d) Il comma 4 dell'art. 2 della legge del 25 agosto 1991, n. 287, stabilisce che non possono ottenere l'iscrizione al Registro degli esercenti il commercio per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione, coloro:



1. che sono stati dichiarati falliti;



2. che hanno riportato una condanna per delitto non colposo con pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni;



3. che hanno riportato una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o contro l'igiene e la sanità pubblica; per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell'alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d'azzardo e le scommesse clandestine;



4. che hanno riportato due o più condanne nel quinquennio precedente per delitti di frode nella preparazione o nel commercio degli alimenti;



5. che sono sottoposti a misure di sicurezza e sono dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;



6. che hanno riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro la persona commessi con violenza , o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione.



ADEMPIMENTI BUROCRATICI



La domanda di iscrizione al Rec deve essere presentata (e la iscrizione deve avvenire) alla Camera di commercio nella cui giurisdizione territoriale la persona fisica ha la residenza e/o la persona giuridica o l'associazione ha la sede legale.



Il richiedente l'iscrizione non è tenuto a presentare un certificato di residenza o a far autenticare la firma apposta in calce alla domanda (art. 3 reg. 375/1988, ancora vigente).



Il possesso dei requisiti professionali deve invece essere dimostrato "con l'esibizione dell'attestato di superamento dell'esame o del corso professionale, oppure con l'indicazione degli estremi del medesimo, qualora l'esame sia stato sostenuto o il corso superato presso la stessa Camera di commercio alla quali si chiede l'iscrizione" (art. 3, comma 5 reg. 375/1988, ancora vigente).



Sulla domanda di iscrizione il Presidente della Camera di commercio è tenuto a decidere "entro 60 giorni" da quello della presentazione: non provvedendo quest'ultimo, scatta il silenzio-assenso ed il richiedente si deve considerare automaticamente iscritto.



ISCRIZIONE DELLE SOCIETA'



L'art. 5 del regolamento approvato con D.M.4 agosto 1988, n. 375, stabilisce che le persone giuridiche e le società sono iscritte nel registro con le indicazioni previste dall'art. 2, e cioè con:



a) la denominazione o ragione sociale e la sede legale;



b) il numero d'iscrizione nel registro delle imprese (se soggetta a tale obbligo);



c) i dati e le generalità relativi ai rappresentanti legali delle persone giuridiche e della società (a questo fine per rappresentanti legali si intendono anche le persone che la persona giuridica e la società investano della propria rappresentanza ai suddetti fini, mediante apposita procura - art. 5, comma 5). Chi rappresenta una persona giuridica od una società, ai fini del rilascio delle autorizzazioni, non è tenuto ad essere iscritto nel registro o nell'annesso elenco speciale, né a possedere i requisiti professionali per l'iscrizione. Per i rappresentanti legali sono soltanto richiesti maggiore età e possesso dei requisiti morali previsti dall'art. 7 della legge (art. 4, comma 3, legge 426/1971);



d) la data di iscrizione nel registro;



e) l'indicazione dell'attività economica per la quale è disposta l'iscrizione.



Nel registro, stabilisce il comma 2, possono ottenere l'iscrizione come società "soltanto" quelle regolarmente costituite in uno dei tipi previsti dalle leggi vigenti. Infatti, il comma 4 dello stesso art. 5 D.M. 375/1988 precisa che per le società di persone non iscritte nel registro delle società e per le società di fatto si iscrivono nel registro tutti i soci singolarmente.



I requisiti che il richiedente deve possedere per poter ottenere il rilascio dell'autorizzazione di polizia sono ovviamente decisivi per stabilire quando l'autorizzazione già concessa debba o possa essere revocata o sospesa.



Ma chi è l'autorità competente (Sindaco, Prefetto, Questore) a provvedere e quale la procedura seguita?



Occorre premettere che agli esercizi della somministrazione di alimenti e di bevande si applica, in via principale e non esclusiva, la disciplina portata dalla legge 25 agosto 1991, n. 287, mentre agli esercizi pubblici in generale si applicano esclusivamente i principi portati dal T.U.L.P.S. (=Testo Unico Leggi Pubblica Sicurezza) n. 773/1931 e del relativo regolamento di esecuzione.



Ma andiamo con ordine.



L'art. 19 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che attribuisce ai Comuni la competenza a rilasciare licenze ed autorizzazioni di polizia, stabilisce che le stesse devono essere sospese, annullate o revocate dal Sindaco.



Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 24 marzo 1987, al Prefetto è ora invece consentito chiedere l'annullamento, la revoca o la sospensione delle autorizzazioni di polizia soltanto per motivi di pubblica sicurezza, mentre per qualsiasi altra ragione è tenuto a provvedere autonomamente il Comune anche "per il rispetto del principio dell'autonomia comunale".



Anche al Questore, ai sensi dell'art. 100 del T.U.L.P.S., quando nell'esercizio "siano avvenuti tumulti o gravi disordini", o il locale "sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o comunque costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini", compete l'onere e la facoltà di sospendere la licenza.



All'Intendente di finanza (ora "Direzione Regionale delle entrate") per la reiterata mancata emissione dello scontrino fiscale (normativa ora in determinati casi superata) o per l'omessa installazione nei locali di vendita dei prescritti apparecchi misuratori, può competere l'onere di disporre la sospensione dell'autorizzazione.



L'art. 10 del T.U. stabilisce che le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento nel caso di abuso della persona autorizzata.



L'ultimo comma dell'art. 11 stabilisce che "le autorizzazione devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell'autorizzazione. Nel caso di revoca della licenza, non si può far luogo a concessione di una licenza nuova, se non sia trascorso un anno dal giorno della revoca. La licenza revocata ad un coniuge non può essere concessa all'altro coniuge, né ai figli, né ai genitori del titolare della licenza revocata".



L'art. 153 del regolamento di esecuzione del testo unico della legge di pubblica sicurezza stabilisce anche che la licenza può essere revocata per ragioni di igiene o quando la località o la casa non si prestino ad essere convenientemente sorvegliate.



Alcune sentenze del Consiglio di Stato hanno poi elaborato principi base in tema di revoche delle autorizzazioni di polizia: secondo tale giurisprudenza, per esempio, è legittimo disporre la revoca quando il titolare dell'autorizzazione se ne serva per svolgere un'attività diversa da quella autorizzata, quando le infrazioni commesse dal titolare rivelino la mancanza del requisito di buona condotta, o quando il suo comportamento possa, comunque, compromettere la sicurezza pubblica o l'ordine pubblico.



I PRIMI 180 GIORNI...



L'art. 4 della legge 25 agosto 1971, n. 287, stabilisce che all'attivazione degli esercizi della somministrazione deve provvedersi "entro centottanta giorni dalla data del rilascio" dell'autorizzazione, pena la revoca della stessa.



La legge 287/1991 non indica la data di inizio per il computo dei centottanta giorni, perchè si riferisce genericamente "alla data del rilascio" dell'autorizzazione; tuttavia si può affermare che il termine decorre dalla data cui l'interessato ha avuto comunicazione (notificata) dell'avvenuto rilascio dell'autorizzazione.



Il termine di 180 giorni, a domanda dell'interessato, può essere prorogato dal Comune "in caso di comprovata necessità". La proroga, ovviamente, può essere concessa dal Sindaco o dal dirigente del Comune, previa istanza motivata dell'interessato. Per la concessione della proroga, è accordata ampia discrezionalità all'autorità amministrativa.



Qualora il titolare dell'autorizzazione non attivi l'esercizio nei prescritti 180 giorni dal rilascio, ovvero dalla data di scadenza dell'eventuale proroga concessa, il Comune revoca (=dichiara la decadenza) dell'autorizzazione per il semplice decorso del tempo.



Si ha revoca dell'autorizzazione anche nel caso in cui il titolare sospenda l'attività "per un periodo superiore a 12 mesi".



E' opportuno che il provvedimento con il quale il dirigente del Comune revoca l'autorizzazione precisi che, in conseguenza della revoca, l'esercizio deve rimanere definitivamente chiuso.



Anche per la fattispecie di sospensione dell'attività per oltre 12 mesi, il dirigente può concedere proroghe.



Da tale prescrizione consegue che l'esercente può chiudere l'esercizio senza necessità di dare comunicazione ad alcuna autorità, sino ad un massimo di 30 giorni, in quanto l'obbligo della preventiva comunicazione scatta soltanto quando la chiusura "debba protrarsi per più di un mese";



Altro caso frequente di revoca dell'autorizzazione si verifica qualora il titolare, per qualsiasi causa, non sia più iscritto nel registro degli esercenti la somministrazione di alimenti e di bevande.



Si rammenti che il Comune, per poter rilasciare l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di somministrazione, deve anche accertare la conformità del locale destinato all'esercizio dell'attività "ai criteri stabiliti con decreto del Ministero dell'interno".



Tali criteri riguardano principalmente "la sorvegliabilità dei locali" dell'esercizio: sia chiaro che, se non vengono apportate modifiche alla struttura dei locali dopo il primo esame fatto per il rilascio dell'autorizzazione, nessuna non rispondenza potrà rilevarsi e quindi nessuna revoca potrà essere comunicata: fatte salve possibili ipotesi di ampliamenti o modificazione dei locali abusivi, questa ipotesi di revoca dovrebbe interessare casi eccezionali e/o singolari.



Infine, l'autorizzazione di esercizi pubblici "può", facoltativamente , essere revocata "per ragioni di igiene ".



Il titolare di un'autorizzazione di polizia può poi rinunciarla in qualsiasi momento, senza necessità di giustificare la ragione della rinuncia stessa: il rinunciante dovrà inviare all'autorità che ha rilasciato l'autorizzazione una dichiarazione di rinuncia scritta su carta semplice, con firma debitamente autenticata, allegando, in restituzione, l'autorizzazione rinunciata.





In seguito alla liberalizzazione, alcune Regioni hanno adottato una specifica normativa sulla somministrazioni di alimenti e bevande. La prima è stata la regione Emilia-Romagna, seguita dalla Lombardia.



Alcune di queste nuove norme prevedono L'ABOLIZIONE DEL REC.



Per esempio, Il Consiglio Regionale della Lombardia, nella seduta del 17 dicembre 2003, ha approvato la nuova legge regionale sulle attività di somministrazione di alimenti e bevande i cui principali punti d'intervento sono:



1) tipologia unica degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al posto delle quattro tipologie previste dalla L. 287 del 1991 non più corrispondenti all'evoluzione delle abitudini alimentari e alla sempre maggiore quantità di pasti consumati fuori casa. Sarà il possesso dei requisiti igienico-sanitari, disciplinati dalle norme vigenti in materia, a determinare il tipo di attività che effettivamente ogni esercizio potrà svolgere;



2) semplificazione del procedimento autorizzatorio attraverso l'abolizione dell'iscrizione al Registro Esercenti il Commercio del titolare dell'impresa individuale o del legale rappresentante della società, prevista dall'articolo 2 della L. 287 del 1991, quale condizione necessaria per l'ottenimento dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande;



3) la certezza dei tempi di conclusione del procedimento autorizzatorio comunale nella considerazione che tale elemento costituisca un fattore determinante dello sviluppo economico;



4) il pieno ricorso al principio di sussidiarietà mantenendo in capo alla Regione le sole funzioni di indirizzo generale e attribuendo ai Comuni tutta la responsabilità di programmazione e gestione locale;



5) la qualità del lavoro e la formazione professionale degli operatori del settore attraverso l'obbligo di frequenza del soggetto che vuole intraprendere l'attività di un corso professionale che assicuri anche la preparazione igienico-sanitaria, e la previsione dei corsi professionali di aggiornamento obbligatorio per chi già esercita l'attività;



6) la salvaguardia e la riqualificazione dei pubblici esercizi nelle zone di montagna e nei Comuni di minore consistenza demografica favorendo l'integrazione della somministrazione con la vendita di beni o servizi attraverso agevolazioni tributarie ed interventi volti al sostegno di tali attività, proposti dagli operatori di concerto con i Comuni interessati e finanziati secondo le procedure e con le risorse della L.R. n. 13/2000;



7) nuovo ruolo delle Commissioni Consultive per i pubblici esercizi previste dall'art. 6 della L. 287 del 1991, chiamate ad esprimersi sulla programmazione comunale in materia di pubblici esercizi a monte e non più sulla singola richiesta di autorizzazione presentata dal cittadino.



Attenzione: In tutte le regioni dove la normativa non è stata ancora approvata valgono invece le regole generali qui descritte.







Il comma 4 dell'art. 5 della legge 287/1991 stabilisce che gli esercizi della somministrazione degli alimenti e bevande di tipo "A" e "B", ma anche quelli di tipo "C" e "D", hanno facoltà di vendere per asporto le bevande che somministrano.



Ma quali esercizi formano le quattro categorie "A, "B", "C" e "D"?



L'art. 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, che disciplina il settore, individua infatti i tipi "A", "B", "C", e "D" degli esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande.



E' bene premettere che rispetto alla normativa precedente (legge n. 524/1974) è stato introdotto un nuovo tipo di esercizio, quello di tipo "D", per la somministrazione di bevande analcoliche, nel quale è esclusa la somministrazione di bevande alcoliche di qualsiasi gradazione.



Le categorie attuali sono dunque le seguenti.



Gli esercizi di tipo "A " sono quelli propri della ristorazione, e ad essi è permessa la somministrazione al pubblico di pasti e, in concomitanza con i pasti, di bevande anche alcooliche, aventi anche contenuto alcoolico superiore al 21% del volume.



Rientrano negli esercizi di tipo "A" ristoranti, osterie, trattorie, pizzerie, birrerie, tavole calde ed esercizi similari.



Gli esercizi di tipo "B" si caratterizzano per la somministrazione al pubblico di bevande analcooliche ed alcooliche avente qualsiasi gradazione alcolica, latte, dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, prodotti di gastronomia (= prodotti alimentari cotti).



Rientrano negli esercizi di tipo "B" gli esercizi per la somministrazione di bevande (bar, caffè, gelaterie, cantine, spacci di bevande analcoliche, pasticcerie ed esercizi similari).



La definizione di "prodotti di gastronomia" ha messo in difficoltà gli interpreti e rende difficile una chiara distinzione tra esercizi di tipo "A" e "B".



Gli esercizi di tipo "C" sono destinati alla somministrazione di alimenti e bevande effettuata congiuntamente all'esplicazione prevalente dell'attività di trattenimento e di svago (sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari, alla condizione che sia prevalente l'attività di svago).



Gli esercizi di tipo "D" devono limitarsi alla somministrazione di bevande esclusivamente analcoliche.



Se la libertà degli esercizi nella vendita per sporto delle bevande è totale, per gli alimenti il discorso si complica.



La legge consente che gli esercizi della ristorazione del tipo "A" possono anche vendere per asporto, oltre alle bevande, anche i pasti che somministrano.



Gli esercizi della somministrazione del tipo "B" possono anche vendere per asporto i prodotti di gastronomia, oltre ai generi di gelateria e di pasticceria (nella normativa previgente erano esclusi dalla vendita i generi di pasticceria).



Per gli esercizi di tipo "B" il Ministero dell'Industria, con nota n. 192044 div. II, del 9 marzo 1989, aveva già precisato che le operazioni di riscaldamento dei prodotti di pasticceria (sfogliatine, cornetti dolci e salati, strudel, pizze, krapfen) rientrano fra quelle previste dall'art. 1 terzo comma, della legge 11 giugno 1971, n. 426 ("le merci possono essere rivendute sia nello stesso stato in sono state acquistate, sia dopo essere state sottoposte ad eventuali trasformazioni, trattamenti e condizionamenti che sono abitualmente praticati") e conseguentemente possono essere effettuate nei bar e negli esercizi similari.



Tale risoluzione ministeriale si ritiene applicabile tuttora, malgrado non esista più il rinvio, per gli esercizi della somministrazione, alla disciplina del commercio di cui alla legge n. 426/1971.



Lo stesso Ministero con la predetta circolare aveva anche chiarito che nei bar ed esercizi similari non possono essere somministrati come "prodotti di gastronomia" altro che "panini imbottiti, tramezzini, pizzette, sandwiches e simili" ed aveva aggiunto che "se venissero somministrati altri prodotti, verrebbe annullata la distinzione fra esercizi di tipo "A" e di tipo "B", posta dalla legge ai fini del rilascio delle autorizzazioni.



In realtà, la situazione continua ad essere confusa, ed il confine fra esercizi di tipo "A" e "B" in relazione ai prodotti di gastronomia presenta contorni assai sfumati.



Appare invece pacifica e riconosciuta la possibilità anche per gli esercizi di tipo "C" e "D" di vendere per asporto le bevande che somministrano.



La prima parte del comma 4 dell'art. 5 della legge n. 287/1991 si riferisce in generale agli "esercizi di cui al presente articolo" .



Soltanto la seconda parte della norma, infatti, limita la vendita dei pasti ai soli esercizi di tipo "A", e dei prodotti di gastronomia, dolciumi, generi di gelateria e pasticceria agli esercizi di tipo "B".



Alle vendite per asporto sono applicabili sia le norme di natura igienico-sanitaria, sia quelle relative al rispetto degli orari di vendita stabiliti per gli esercizi commerciali.



La chiusura settimanale dei pubblici esercizi è disciplinata dalla legge 1° giugno 1971, n. 425.



Tale norma prevede che gli esercizi di caffè, bar, latterie, gelaterie, pasticcerie, birrerie, ristoranti, trattorie, rosticcerie, pizzerie, tavole calde, osterie con o senza cucina, spacci analcolici, sale da gioco con bar e qualunque altro esercizio ove si somministrino per consumo cibi o bevande, devono obbligatoriamente osservare la chiusura di una intera giornata nel corso di ogni settimana.



Dall'obbligo della chiusura settimanale sono soltanto esclusi:



- i ristoranti ed i bar interni agli alberghi (ma la chiusura dovrà essere osservata comunque, perché nelle giornate di chiusura obbligatoria la somministrazione è consentita alle sole persone che vi alloggiano);



- gli esercizi interni a teatri, cinema ed altri locali di pubblico spettacolo, a condizione che possano accedervi soltanto gli spettatori (le discoteche con annessi dancing e bar sono ricompresi in questa categoria);



- gli esercizi annessi alle stazioni ferroviarie ed aeroportuali e quelli posti nelle aree di servizio lungo le autostrade;



- gli esercizi annessi ai camping, villaggi turistici o stabilimenti balneari, limitatamente però, al periodo della stagione turistica;



- gli esercizi pubblici che svolgono la loro attività limitata alle sole ore serali e notturne, od ai periodi stagionali.



Organo competente a predisporre annualmente i turni obbligatori di chiusura, con proprio provvedimento, è il Sindaco del Comune, il quale provvede dopo aver sentito il parere delle organizzazioni provinciali degli esercenti e dei lavoratori e degli enti turistici locali, ove esistano.



Ovviamente, nel disporre i turni di chiusura, per quanto possibile, il Sindaco dovrà tener conto delle richieste e delle aspettative dei singoli esercenti, da un lato, e delle necessità pubbliche, dall'altro: l'interesse pubblico, per intenderci, impone che per ogni zona abitata sia assicurata la possibilità di godere dei servizi necessari tutti i giorni della settimana.



La stessa legge n. 425/1971 disciplina le deroghe all'osservanza della chiusura settimanale.



Ad esempio, quando la giornata di chiusura di un esercizio coincide con una festività, è data facoltà all'esercente di tenere aperto l'esercizio.



E' poi data facoltà all'esercente di non chiudere durante la giornata in cui avrebbe l'obbligo, nella settimana precedente il Natale e la Pasqua.



Sono previste anche altre importanti eccezioni.



Nelle località turistiche, il Sindaco, con propria ordinanza, sentite le organizzazioni provinciali degli esercenti e dei lavoratori e gli enti turistici locali, può derogare all'obbligo della chiusura settimanale per alcuni periodi (uno solo o più periodi a seconda delle necessità turistiche), la cui durata complessiva non superi i novanta giorni per ogni anno solare.



La consultazione richiesta al Sindaco non implica ovviamente che tutti i pareri debbano essere concordi: nel caso riceva pareri discordi, poiché nessuno di essi è vincolante, il Sindaco dovrà preoccuparsi di motivare adeguatamente il provvedimento adottato.



Da ultimo, è bene ricordare che in occasione di speciali manifestazioni locali o per particolari motivi di interesse pubblico, il Sindaco, con propria ordinanza, può disporre la deroga temporanea all'obbligo della chiusura settimanale degli esercizi pubblici. Queste deroghe, in ogni caso, non potranno essere superiori complessivamente a cinque giorni per ogni anno solare.



L'esercente ha l'obbligo di tenere visibilmente esposto, nei locali dell'esercizio, un cartello indicante il giorno di chiusura settimanale.



L'eventuale infrazione è soggetta alla pena pecuniaria di euro 10,00.



Le infrazioni all'obbligo della chiusura settimanale sono punite con sanzione amministrativa, in misura non inferiore a euro 51,00 e non superiore a euro 309,00.



In caso di recidiva, il Sindaco può sospendere o revocare la licenza.









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