Cosa succede a Hong Kong, dove il virus sembra in ritirata

Lorenzo Antinori, beverage manager del Four Seasons Hotel di Hong Kong, ci racconta l'evoluzione della situazione nella città cinese

Frontiere chiuse, controlli rigorosi e tamponi ogni 14 giorni per chi lavora nella ristorazione. Così Hong Kong sta tornando alla normalità. Ne parliamo con Lorenzo Antinori, beverage manager del Fours Seasons Hotel di Hong Kong

Mentre l'Italia rischia in questi giorni di precipitare in zona rossa, a causa di una re-impennata dei contagi causati anche dalla variante inglese, da altre parti del mondo la pandemia sembra essere sotto controllo con società ed economie rientrate in una situazione di apparente normalità, bar e ristoranti compresi. Una di queste è Hong Kong, territorio autonomo della Repubblica Popolare Cinese, dove le autorità, a partire dalla metà di febbraio, hanno allentato le restrizioni imposte dagli inizi del 2020 per contenere la diffusione del virus e dato il via alla campagna di immunizzazione della popolazione residente, circa 7,5 milioni di persone, con il vaccino cinese Sinovac. Per capire come si "vive" in una situazione di quasi normalità abbiamo raggiunto Lorenzo Antinori, beverage manager del Four Seasons Hotel di Hong Kong e beverage ambassador della catena per l'area Asia - Pacifico. «Qui - spiega il manager - la situazione sembra essere sotto controllo tanto che registriamo una media di soli 14-15 casi al giorno. Ci sono stati in passato diversi focolai, ma le autorità non hanno mai imposto un lockdown totale. Bar e ristoranti sono rimasti chiusi per periodi determinati, anche fino a tre mesi, ma si è trattato di misure parziali che hanno riguardato aree circoscritte del territorio. Oggi, grazie all'allentamento delle restrizioni, i locali con licenza da ristorante possono stare aperti fino alle 22. Praticamente quasi tutti».

Dopo aver lavorato in Corea del Sud, sempre per Four Seasons, sei arrivato a Hong Kong nel 2019. Hai, dunque, vissuto in prima persona l'evoluzione della pandemia scoppiata alla fine di quell'anno.
La mia impressione è che qui fossero in qualche modo preparati, perché hanno subito agito con risolutezza e determinazione. Forse perché avevano già fatto l'esperienza del virus della Sars, apparso per la prima volta in Cina nel 2002, hanno attivato restrizioni molto rigorose. Ho diversi amici e colleghi che vivono in Cina che mi hanno riferito di lockdown particolarmente pesanti della durata anche di 4 mesi, con le le persone che non potevano nemmeno uscire da casa. E, oggi, anche in Cina la situazione sembra essere tornata alla normalità. La guardia resta, comunque, sempre alta. A Hong Kong tutte le persone che lavorano nel food&beverage devono fare obbligatoriamente un tampone ogni 14 giorni. Il tampone è gratuito e finanziato dal governo. Chi non fa il test non può tornare al lavoro e, a tal proposito, esiste un sistema di tracking molto rigoroso. Anche qui, come in Europa, vigono le misure di distanziamento sociale e, ad esempio, al tavolo in un ristorante non possono sedersi più di 4 persone. E i tavoli devono essere distanziati di almeno un metro e mezzo.

Parlavi di misure molte rigorose. Ci sono controlli anche per strada?
È obbligatorio, ovviamente, l'uso della mascherina. E ci sono pattuglie della polizia che girano per le strade e le stradine dei quartieri della metropoli con megafoni e fischietti, controllando che tutti abbiano indosso la mascherina e che non vi siamo assembramenti. Chi non rispetta le regole rischia una multa di 5 mila dollari di Hong Kong, pari a circa 500 euro. Devo però dire che la gente è molto disciplinata. Le frontiere sono chiuse dall'inizio della pandemia e nessuno entra o esce dal territorio senza un permesso speciale che viene rilasciato quasi esclusivamente per motivi di lavoro. Chi proviene dall'esterno deve obbligatoriamente fare dai 14 ai 21 giorni di quarantena in alberghi affittati dal governo e destinati ad ospitare gli uomini d'affari provenienti dalla Cina o da altri Paesi.

Quindi, non ci sono turisti a Hong Kong?
Assolutamente no. Come albergo stiamo lavorando prevalentemente con la formula "staycation" e abbiamo come clienti quei residenti di Hong Kong che scelgono di trascorrere un weekend lungo nella nostra struttura per godere dei servizi di un hotel di lusso e per  sentirsi turisti nella propria città.

Quando è prevista l'apertura delle frontiere?
Tre mesi fa ci fu la proposta di aprire la tratta area da Singapore ma subito dopo ci furono dei focolai e l'idea venne accantonata. Da fine febbraio è iniziata la campagna vaccinale che riguarda in primis le persone anziane e quelle che soffrono di particolari patologie, ma di aprire le frontiere non si parla. I più ottimisti prevedono di consentire l'incoming dal sud della Cina, in particolare dall'area di Guandong, verso l'inizio dell'estate. Ma c'è anche chi teme che rimarremo "chiusi" per altri 6 mesi. Tutti si muovono con grande cautela.

Dal tuo osservatorio asiatico quali sono le principali differenze che hai registrato tra il modus operandi cinese e quello europeo o italiano?
In Europa e in Italia, le autorità hanno lasciato le cose andare senza controllo per troppo tempo. L'estate scorsa, ad esempio, le persone sono state libere di girare, di andare al mare, di fare assembramenti dovunque con tutte le attività economiche aperte. Nello stesso periodo, qui a Hong Kong, era quasi tutto chiuso con i bar i ristoranti che dovevano abbassare le saracinesche dopo le 18. Mi sembra che in Italia vi sia stata una sottovalutazione generale del problema e che oggi le autorità siano costrette a fare interventi a fisarmonica e ad adottare provvedimenti stop and go che non fanno altro che far arrabbiare le persone e gli operatori. E non dimentichiamo la questione delle frontiere, che in Italia sono rimaste sempre aperte con appena 10 giorni di quarantena per chi entra nel territorio nazionale! Forse, bisognava veramente essere più rigorosi sin da subito. Anche qui ci sono state molte polemiche e critiche nei confronti del governo riguardo le misure di contenimento. Soprattutto, durante i periodi in cui i locali sono stati obbligati a restare chiusi. Ma il governo ha tenuto sin dagli iniziuna linea chiara e coerente con la chiusura delle frontiere e un periodo di quarantena consono, dai 14 ai 21 giorni.

Il governo locale ha aiutato i locali che sono rimasti chiusi durante i diversi lockdown parziali?
Si ha provveduto con dei ristori che hanno coperto una parte dei costi fissi, come l'affitto. Ma adesso i contributi pubblici stanno per finire.

Cosa ti aspetti per il futuro?
Sarebbe già una vittoria riuscire a restare aperti e magari superare la restrizione della chiusura alle 22. E poi, tra sei mesi, aprire parzialmente le frontiere a quei Paesi asiatici che hanno una situazione pandemica sotto controllo come il resto della Cina o Singapore.

 

 

 

 

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