Ogni giorno in Italia i distributori automatici servono 21 milioni tra caffè, bibite e snack. Una minaccia per i pubblici esercizi? Un’indagine del Censis esplora il settore e i margini di crescita
L’omino delle macchinette non è più il signor Nessuno. E il business dei distributori automatici di bibite e cibi è uno dei più floridi in Italia. Questo emerge da una ricerca condotta dal Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, sul settore del vending, presentata di recente a Milano a un convegno organizzato da Confida, l’associazione italiana della distribuzione automatica.
Mentre soffrono bar ed esercizi classici, il vending è in piena espansione, con numeri da capogiro: 21 milioni di pezzi venduti ogni giorno per circa 15 milioni di clienti e un pubblico, che interessa il 42% della popolazione italiana, per il 25,3% composto da consumatori quotidiani e, per un altro 15%, da utilizzatori per almeno 2 o 3 volte la settimana.
Cosa devono fare i baristi? Preoccuparsi e considerare questo settore silenzioso come un concorrente o cercare alleanze e, magari, mettersi in casa anche loro un distributore?
«Le macchinette - spiega Francesco Estrafallaces del Censis, uno dei responsabili della ricerca - sono collocate in luoghi dove manca il tradizionale servizio bar: si trovano per il 41,1% all’interno di uffici e aziende, per il 31% in luoghi d’attesa come le stazioni, gli ambulatori, le pubbliche amministrazioni e per il 18,9% all’interno di luoghi di studio. E poi servono soprattutto caffè e derivati o bevande calde (oltre il 50%), e in misura minore bibite fresche (22-23%) e snack (16-17%). Si parla spesso di differenziare l’offerta, introducendo nuovi prodotti come pasti caldi o pizza, ma in realtà la clientela più fidelizzata dice che non è davvero interessata a un’offerta più sofisticata e completa e si limita alla scelta delle solite cose».
Insomma, non basta, nel settore del vending, pensare di installare la macchina che serve spaghetti perché l’idea piace a qualcuno, se poi non c’è la certezza che venga usata con frequenza quotidiana da molti clienti. Difficilmente quindi assisteremo a invasioni di campo e a un grande successo di distributori automatici al di là dei classici prodotti serviti.
Potenzialità di crescita
Il settore e le sue evoluzioni vanno però tenuti d’occhio. Giuseppe De Rita, presidente del Censis, definisce quello del vending «un settore arcipelago, che è un po’ dappertutto ma resta invisibile e non esercita quindi pressione a livello di opinione e di lobby. È un comparto con oltre 35.000 addetti che vivono completamente al di fuori della nostra attenzione.
Ma le potenzialità di crescita sono enormi». Quali sono i motivi che fanno pensare a un’ulteriore espansione in Italia? Oltre al fatto che possediamo l’industria più tecnologica in questo ambito, con il 75% degli apparecchi usati nel mondo prodotti entro i nostri confini, De Rita pone l’accento su aspetti di ordine sociologico. «L’Italia - dice - sta diventando il Paese dei non-luoghi, posti di passaggio presenti anche in molti quartieri urbani, dove spesso la macchinetta del vending o il punto vendita automatizzato diventano gli unici punti di socializzazione». E siccome stanno cambiando anche le abitudini alimentari degli italiani, non più abituati come una volta a sedersi a tavola a pranzo e cena, si può ipotizzare, aggiunge De Rita, che «l’uso della macchina automatica può accelerare ulteriormente la trasformazione del modo di mangiare in Italia. Non è detto che la realtà del vending debba restare uguale, la sua funzione cambia: per esempio, poter mangiare un pasto senza spendere troppo potrebbe essere una chiave importante per i giovani e per le donne, che oggi sono tra i settori della popolazione meno abituati a usare i distributori automatici».
Frammentazione di soggetti
Rischiamo quindi di trovarci un’ulteriore invasione di apparecchi automatici in grado di sostituire integralmente il bar? È improbabile. Per quanto ricco e in crescita anche questo settore sta vivendo momenti di difficoltà e di contraddizioni. Come emerge da una ricerca del Sose, la Società per gli studi di settore, che analizza i bilanci delle imprese per definire le regole fiscali a cui vanno sottoposte ma anche per interpretare le tendenze della piccola e media impresa italiana. Secondo Giampietro Brunello, presidente del Sose, «si legge una doppia tendenza nel settore. Da una parte la crescita di grandi gruppi che hanno iniziato dal 2006 ad accorpare società più piccole. D’altro lato osserviamo la crescita delle microimprese con un solo addetto, che sono ben il 55,2% del totale. Si tratta evidentemente di ex-dipendenti che decidono di mettersi in proprio, ma che hanno meno produttività, meno efficienza e meno capacità di imprimere cambiamenti».
E così, se da un lato quello del vending è uno dei pochi comparti in cui anche quest’anno si avrà un saldo positivo del numero delle imprese (quelle di nuova apertura sono più numerose rispetto a quelle che chiudono) la crescita degli apparecchi installati continua a riguardare i prodotti classici, cioè le bevande calde, e non si assiste quindi a un grande rinnovamento tecnologico. E anche i luoghi dove gli apparecchi vengono installati sono sempre gli stessi e cioè gli uffici e i luoghi pubblici, dove i bar non riescono ad arrivare.