La salute vien… socializzando

C'erano una volta i juice bar e ci sono ancora. Ma succhi ed estratti non bastano più. I nuovi bar della salute sono spazi dove wellness fa rima con social e co-working. Ce lo conferma un esperto. E il n.1 viene dalla Danimarca

Gli italiani sono sempre più attenti al cibo che consumano. A rivelarlo sono numerose ricerche e studi di mercato. Tra i più autorevoli c’è la global survey “Helth/Wellness: food as medicine” di Nielsen che l’anno scorso ha svelato che un  italiano su tre, pari al 33% della popolazione, considera i cosiddetti superfood addirittura dei possibili sostituti dei farmaci. E che ben quattro su dieci sono alla ricerca di fonti alternative di proteine rispetto alla carne. A tal proposito yogurt e noci sarebbero, sempre secondo Nielsen, gli alimenti salutari preferiti dalla maggioranza degli italiani. Al di là dei numeri, la verità è che il salutismo è diventato uno stile alimentare mainstream, generalizzato. Una sorta di “allerta dietetica” in quanto esiste di fatto una consapevolezza diffusa riguardo l’urgenza di adottare un’alimentazione legata alla salute: Nielsen calcola che per  il 40% della popolazione italiana la dieta costituisce un vero e proprio stile di vita. Ovviamente in tutti questi anni il fuori casa non è stato alla finestra. Tante le formule nate proprio per intercettare questa domanda di salutismo che agli inizi del Duemila riguardava nicchie di consumatori: dalle caffetterie biologiche alle frullaterie, dalle yogurterie ai salad bar. Diverse sono riuscite nell’intento di affermarsi come crocevia del benessere, altre meno. Pensiamo al concept della yogurteria in franchising che dopo essere stato protagonista di un momento d’oro oggi resiste in trincea  e deve fare i conti con un mercato molto più agguerrito del passato. Un mercato specchio di una domanda dove la proposta di bevande e di cibi di matrice salutista è ormai polverizzata e diffusa a prescindere dalla specializzazione del locale: un centrifugato anti-age o un succo di melagrana sono preparati che ormai si trovano comunemente  in una caffetteria o in un bar di quartiere. E lo stesso vale per un croissant vegano o un panino farcito con ingredienti bio.

Formule “liquide”

Insomma il “salutismo” è diventato patrimonio di tutti: specializzati e generalisti, come ci conferma Fabrizio Valente, founder e amministratore delegato di Kiki Lab - Ebeltoft Italy e profondo conoscitore di concept e mercati. «Un concept deve essere necessariamente situazionista - esordisce Valente - per cogliere al balzo le opportunità commerciali che offre in quel dato momento un mercato. Il problema è che quando si afferma una tendenza di nicchia i concorrenti cercano di farla propria. A quel punto resistono più  facilmente le cosiddette formule “liquide”, quelle che possono contare su economie di scala importanti indispensabili per fare fronte agli elevati costi fissi che pesano in genere su un’attività di somministrazione. Una volta che il mercato è entrato in una fase di maturità per molte formule si presenta un vero e proprio problema di sostenibilità economica». Per non parlare degli indipendenti che hanno scelto di giocare la partita della specializzazione salutistica: una strada irta di difficoltà visto il numero dei fronti aperti.  «Esatto - continua Valente - bisogna pensare che la bandiera del cibo salutare è sventolata da una moltitudine di operatori anche dalle insegne della grande distribuzione che aprono, come ad esempio Auchan, spazi dedicati alla ristorazione con un forte accento sull’healthy food con succhi, frullati, centrifughe, insalate componibili proposte in formato anche take away. In ragione di questa evoluzione si sta assistendo a un progressivo superamento di un concetto di salutismo centrato unicamente sulla proposta alimentare. Il benessere oggi passa attraverso la realizzazione di spazi che invitano alla socialità con divani, piante, aree di co-working o di studio ed è in questo solco che si stanno indirizzando le nuove formule di somministrazione orientate allo “star bene”».

Spazi energetici

In questa nuova area che, come detto precedentemente, può prescindere da una vocazione alimentare specifica, c’è grande fermento. «A Milano - riprende Valente c’è il Moleskine Cafè, format che mescola vari elementi tipici del caffè letterario, del negozio e della libreria con un menu che, pur abbracciando varie culture gastronomiche, resta ancorato a una proposta di cibi leggeri e nutrizionalmente bilanciati. Altro caso interessante è il Talent Garden Calabiana, spazio di co-working evoluto sorto in una ex tipografia e oggi punto di riferimento per la community di innovatori residente a Milano. Ospita più di 400 professionisti e un TAG Cafè. Ma al meglio il doppio binario del salutismo alimentare e dello spazio dove rilassarsi, recuperare le energie e intavolare relazioni sociali è una formula non ancora sbarcata in Italia che si chiama Joe & The Juice».  Il primo Joe & The Juice è stato aperto nel 2002 a Copenhagen da Kaspar Basse, campione di karate votato al cibo salutistico e il segreto di un successo planetario, oggi i punti vendita sono circa 200 sparsi in tutto il mondo, sta non solo in un’offerta premium di succhi, frullati di frutta, yogurt, panini e toast preparati al momento, shottini energetici lavorati solo con ingredienti naturali e biologici ecc. ma nell’ambiente e nell’interazione che si instaura tra staff e clientela. Basta scorrere velocemente le immagini patinate che appaiono all’interno del sito della catena (www.joejuice.com) per vedere come Joe & The Juice abbia completamente ribaltato il concept tradizionale di locale salutista combinando le foto di bevande e di food a quelle di ragazzi tatuati dal look modaiolo e super giovane o con un abbigliamento in stile hipster.  Un posto perfetto per viaggiatori, urban trendsetter e millennials. «Il personale che lavora nei locali della catena danese - aggiunge Valente - è accuratamente selezionato perché devono essere capaci a intrattenere i clienti e a favorire le relazioni sociali».

Modello di riferimento

«Joe & The Juice - conclude il nostro esperto - è qualcosa di più di un semplice juice bar e potrebbe rappresentare un modello di riferimento per lo sviluppo futuro di tutto il comparto». Qualcuno l’ha già battezzato il “nuovo Starbucks”. In fondo, a pensarci bene, il colosso di Seattle è molto di più di una semplice caffetteria.

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