Bologna, nuove identità cercasi

Qui Emilia –

Poche novità sotto le torri. E i locali storici restano i punti di riferimento

Negli anni Novanta a Bologna nacquero wine bar che sarebbero diventati veri punti di riferimento per gli amanti del vino. I primi protagonisti del fenomeno furono le enoteche e le bottiglierie storiche (a parte le eccezioni di locali fondati ex novo, come il mitico Godot wine bar) che, chi in un modo chi in un altro, si attrezzarono per la mescita, come Drogheria Calzolari, Enoteca Italiana, Enoteche Tumedei e altre. Poi vennero i bar “normali”, ai quali bastava appiccicare un’insegna con scritto wine bar ed esibire qualche calice balloon per auto dichiararsi, appunto, wine bar. E oggi? Oggi succede che i veri wine bar non esistono. O meglio, paradossalmente sono ancora le enoteche di prima generazione ad averne preso il ruolo e a dimostrarsi vitali, emulate poi da altre enoteche come - fra gli esempi più felici - Soul Wine a Casalecchio di Reno, In Vino Veritas in centro o l’Enoteca Storica Faccioli (nella foto).

Pochi rischi e offerta omologata

Non che la passione del vino sia scemata nella gente o negli operatori. Ma la crisi si è fatta sentire forte e il tradizionale bacino di studenti - almeno 50.000 sarebbero i fuori sede all’Università - a Bologna condiziona il pur vitalissimo mondo dei locali serali, più orientati alla formula polivalente o all’intrattenimento o ancora al tormentone Spritz+buffet che a un servizio di qualità. «Non c’è voglia di rischiare nell’assortimento, c’è un po’ di appiattimento nell’offerta - nota dal suo punto di osservazione privilegiato Marco Nannetti, dell’Enoteca Italiana, nonchè titolare della rubrica La bolla pungente sul quotidiano locale - e un’attenzione esasperata al prezzo». E così, se è vero che buona parte dei “bar normali”ha messo su un angolo vino con l’immancabile lavagna - cosa che fino a 7-8 anni fa non era - è anche vero che i bar orientati al vino di qualità sono mosche bianche. Ciò magari non è male per il business immediato, perché se ci si può permettere di proporre “vini qualunque“ e se questi si vendono allora “va tutto bene“ - a Bologna un vino di bassa lega al calice viene venduto a 4-5 euro o anche 7-8 con il buffet aperitivo - ma forse è male per creare una classe di consumatori fidelizzata e consapevole, o per rafforzare stabilmente reputazione e business. «Lo tsunami bollicine ha trascinato la gente, ma la cultura del vino generata dal fenomeno non è stata certo esaltante», aggiunge Nannetti.
Qualche buon esempio comunque c’è e qui trovano spazio anche l’universo dei vini più “estremi” come i “naturali” che trovano sempre più adepti fra gli operatori, che in questo modo riescono ad avvicinare quella cerchia di enoappassionati che “fanno tendenza” (magari sui social network). Un modo, forse, per riavvicinare il grande pubblico e tornare agli antici splendori.

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